Due appartenenti alla Corte suprema di Kabul, due giudici donne, sono state uccise nel corso di un attentato nella capitale afgana. Da mesi personaggi di spicco quali politici, giudici, medici, cioè l’apparato governativo dell’Afghanistan, viene preso di mira da attentati, nonostante siano in corso in Qatar colloqui di pace con i talebani. Infatti questo tipo di attentati “mirati” viene spesso rivendicato dall’altra forza sovversiva del paese, i jihadisti appartenenti all’Isis. “I talebani usano un certo tipo di violenza mirata a rafforzare i colloqui di pace” ci ha detto il professor Marco Lombardi, docente di sociologia all’Università Cattolica di Milano ed esperto di terrorismo “mentre gli jihadisti mirano al controllo del territorio scegliendo obiettivi, come le donne, che secondo la Sharia non devono assumere ruoli governativi”.



Un nuovo attentato insanguina l’Afghanistan proprio mentre il Pentagono annuncia che ridurrà il numero di truppe americane nel Paese a solo 2500 effettivi. Come leggere questi due fatti?

Le due cose non si escludono. Da tempo la guerra ha assunto la caratteristica di essere ibrida, cioè da una parte si discute, si fanno colloqui di pace e dall’altra parte si spara e si uccide.



L’Afghanistan in questo modo viene però lasciato solo, stretto tra due fuochi, talebani e Isis, che si contendono il paese. Una situazione disperata?

Sapevamo del ritiro americano ed è la ragione per cui gli attacchi sono aumentati. Da sempre al Qaeda è presente e contende il primato ai talebani. Come ci siamo già detti in passato, i talebani sono più attenti a usare la violenza in maniera diciamo chirurgica.

Cosa intende?

Vogliono usare la violenza per quanto è necessario a sostenere la loro forza nei colloqui in un progressivo aumento della loro istituzionalizzazione. Mirano a questo, una forma estremista che si sta istituzionalizzando.



Vogliono prendere il potere politico?

Sì, stanno usando la violenza per supportare il necessario percorso di dialogo. Così non è per l’Isis, impegnato a contendere il territorio, quindi la loro modalità di attacco è tutt’altro che chirurgica, deve rispondere ai bisogni simbolici dello jihadismo. Il fatto che abbiano colpito donne giudici ha evidentemente una validità simbolica, perché lo jihadismo ancor più dei talebani non può rinunciare alla validità della Sharia, e alla modalità che conduce a colpire soprattutto donne che fanno parte delle istituzioni.

In questo quadro l’Onu ha lanciato un allarme, dicendo che almeno 18 milioni di persone in Afghanistan sono alla fame e ha chiesto di reperire diversi miliardi di dollari  di finanziamenti. Qualcuno ascolterà questo appello?

Non credo, sono pessimista sul fatto che verrà accolto.

Perché?

Noi dimentichiamo sempre una visione dell’Afghanistan, paese che conosco bene per averci fatto diverse missioni, che a quasi tutti sfugge.

Quale?

Lo rappresentiamo sempre come un paese in guerra, ma è vero solo parzialmente per un paio di ragioni. L’Afghanistan è molto grande e molto rurale e gran parte del paese non è in guerra, ma cerca di sopravvivere agli stenti. È distrutto da 50 anni di guerra anche per coloro i quali la guerra non fa parte della normalità. Per assurdo il clamore sarebbe se scoppiasse la pace, perché il paese vive in uno stato di guerra da 50 anni. Noi continuiamo a raccontare di un paese in guerra, ma non raccontiamo che gli afghani si sono abituati, per cui non vivono con la paura di essere uccisi dalle armi, anche perché tanti vivono lontani dalle piazze di guerra. Quello che non raccontiamo sono gli effetti perversi, le ricadute della guerra: non avere soldi, commercio, cibo, le risorse per campare. Questa è la ricaduta drammatica della guerra, però questo noi non lo raccontiamo.

Fa comodo così?

Per questo l’appello dell’Onu non avrà esiti, ma alimenterà ancora di più la possibilità delle forze radicali di trovare consenso.

Tra l’altro non si parla neanche della fuga, della migrazione di tanti afgani…

Le frontiere sono permeabili, i confini con l’Iran sono permeabilissimi. In realtà scappano in pochi rispetto a quelli che vorrebbero farlo, perché scappare ha un costo economico quasi impossibile, che conta su una rete di accoglienza che gli afgani hanno nella diaspora soprattutto in Europa, un’area per loro molto lontana.