A Kabul si scandiscono le ore, per vedere quali saranno gli ultimi tragici colpi della nuova sacca terroristica che si è insediata in Afghanistan, dopo la decisione suicida degli Stati Uniti e degli alleati occidentali di lasciare il Paese ai Talebani e ai loro partners, occulti o conflittuali, a secondo delle convenienze.
È bene chiarire subito, in questa drammatica fuga degli Usa e in questa confusione convulsa di analisi che quasi tutti, con grande supponenza, fanno, che l’Asia sta ritornando la punta avanzata del terrorismo islamico contro l’occidente democratico.
Certo, si possono fare sintesi storiche di ogni tipo ed elencare le colpe storiche antiche e quelle più recenti fino all’attacco Usa dell’Iraq, nella prima e nella seconda guerra.
Poi la permanenza di 20 anni in Afghanistan, dove si doveva certamente punire chi ospitava Bin Laden ma tentare di seminare, almeno seriamente, “germi di democrazia”, ritenendo e ripetendolo quasi con cocciuta stupidità, che un estremismo terroristico islamico non esistesse e che la sharia, la legge coranica che sostituisce (sia nei suoi aspetti giusnaturalistici, sia per quanto riguarda il diritto positivo) lo stato di diritto, non avesse interpretazioni varie, alcune delle quali si potessero conciliare con la democrazia.
Questa è una “leggenda metropolitana” che soltanto un occidente svuotato dei suoi valori fondanti poteva non prendere in considerazione.
È una premessa che andava fatta nel momento in cui si deve prendere atto che il dilemma sulla trattativa è un falso problema. La verità è che bisogna trattare sempre con tutti, anche con i peggiori terroristi, anche con i talebani, ma altro è riconoscere loro uno stato di legittimità al di fuori del negoziato in corso. Questo è il grande realismo che ha sempre contraddistinto l’occidente e che qualcuno ha dimenticato o volutamente dimenticato.
Occorreva fare questa premessa perché, oltre alla confusione del dramma afgano, si aggiunge la tremenda confusione storica (forse sarebbe bene dire l’ignoranza) di alcuni punti cruciali di una storia che tra occidente e islam è ormai quasi bimillenaria.
Veniamo quindi al punto, al dramma che stiamo vivendo adesso. Il presidente americano Joe Biden, il comandante in capo, ha organizzato una “uscita” dall’Afghanistan che persino i suoi servizi e i suoi consiglieri militari gli sconsigliavano. Forse la speranza di Biden era quella di attribuire ai talebani una maggiore maturità democratica, di considerare insopportabili i sacrifici americani sotto tutti punti di vista e ritenere che le grande base del terrorismo come Al Qaida e la Jihad fossero scomparse nel dimenticatoio della storia.
Come tanti i suoi predecessori, Biden ha mostrato una demenziale supponenza pensando che la democrazia, oltre a tutto in versione americana, fosse un “valore universale” che tutti possono e devono riconoscere. Il risultato è che Biden non si dimetterà e non subirà alcun impeachment, ma finirà nella storia americana come Jimmy Carter, il presidente che ha subito umiliazioni incredibili dagli iraniani e ha aperto prima la stagione del reaganismo e poi quella del neoliberismo selvaggio che ha danneggiato ancora di più l’Occidente. Non stupisce che oggi, oltre a piangere pubblicamente, non riesca neppure a rispondere alle domande dei giornalisti.
Come tanta parte della classe politica di questi tempi avventurati, non tutti hanno compreso quello che ha detto John R. Bolton, non a caso licenziato dall’amministrazione di Donald Trump nel 2019. La sostanza del pensiero di Bolton è che alla fine ci possono anche essere differenziazioni marcate tra i gruppi terroristici islamici, ma alla fine, sia i talebani, sia Al Qaida, sia la Jihad ritrovano sempre un punto di incontro nella lotta all’Occidente democratico.
E questo comporta un altro fatto destabilizzante: la ricomposizione difficilissima di un quadro geopolitico dove se non c’è più l’imperialismo, inteso come unica potenza egemone, non c’è nemmeno un multipolarismo funzionale.
Dopo la fuga americana è entrata in gioco la Russia e il suo peso lo ha fatto subito sentire. Ieri il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, dopo aver incontrato Di Maio e Draghi, ha quasi sibilato: “Sulla riunione straordinaria del G20, vogliamo capire meglio quale ruolo vedono i nostri partner occidentali per la Russia nel contesto del G20. Ci hanno detto che verranno presentate linee guida, ma finora mi sembra che il terrorismo sia solo al quinto posto, per noi non è accettabile, vista la minaccia per i nostri vicini che confinano con noi”.
Non c’è solo la Russia nel grande gioco, c’è il Pakistan, che è sempre stato un retroterra dei talebani. C’è la Turchia che assiste a un suo rilancio di influenza in Asia e nel Medio Oriente e mira a raggranellare tanti soldi con l’accoglienza dei profughi.
Ma sullo sfondo c’è sopratutto la Cina, la potenza che ha fatto mille giochi ideologici e politici per un intero secolo e ora guarda dall’alto in basso il grande rivale americano in difficoltà.
Sembra che nel nuovo contesto geopolitico si apra il secolo di una potenza plurimillenaria dove la Cina, anche se ha alcune sue contraddizioni interne, ha certamente una compattezza e una solidità interna che la candidano a essere il primo dei paesi del futuro.
Sembra che tutti, sopratutto il lento suicidio dell’occidente, giochi a favore della Cina e non è pensabile che gli alfieri del nuovo socialcapitalismo confuciano possano temere gli attacchi del terrorismo islamico.
In questo contesto il ruolo dell’Europa, intesa come Ue, sembra quasi una presa in giro.
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