Esiste un plesso di nazioni in Europa dove il sistema internazionale vestfaliano non ha mai avuto modo di realizzarsi. Plesso di due imperi storicamente decisivi un tempo: quello ottomano prima e quello asburgico dopo.
L’ottomano minacciò Vienna nel XVII secolo e un principe sabaudo alla testa di una coalizione di prìncipi, di re e di aristocrazie sempre in lotta respinse quelle armate e si dovette attendere poi la fine della Grande Guerra per assistere alla creazione di deboli e precarie federazioni instabili. La fine dello Stato federativo jugoslavo a predominanza serbo-croata coincise con l’ampliamento dell’Ue e l’unificazione tedesca e con il crollo di un edificio che solo la mano ferrea di Tito, il continuo incombere sovietico ai confini della federazione, con i piedi piantati a Berlino, reggeva in piedi. Il riconoscimento tedesco della Croazia prima di ogni pronunciamento dei Trattati non vestafaliani dell’Ue fece crollare l’instabile castello di carta e iniziò il bagno di sangue dell’etnia che si scatena e travalica ogni immaginazione.
L’Italia svolse un ruolo importante per fermare con la guerra aerea (il modello fu riproposto poi con inaudita violenza unipolarista anni dopo in Iraq, mentre allora si trattò di una operazione Nato) la violenza serba e dar vita a un impegno internazionale interminabile che dura ancora oggi. Oggi che il conflitto kosovaro oppone nuovamente i serbi a tutto il resto di quel mondo e che il nazionalismo albanese trova una riattualizzazione attesa e inevitabile.
Pensare di trovare una situazione di pace nei Balcani senza un impegno della Russia – qualsivoglia Russia intendiamoci bene – è impossibile. La Serbia non è un volo di angeli, ma un costrutto storico concreto che non trova pace ogni volta che si sente minacciato nei valori fondanti di un secolo che non è mai finito ed è stato tutt’altro che breve, tutt’altro che scomparso ma che è ancora qui tra noi. Un secolo di guerre ogni qualvolta che s’intravede un sistema di relazioni internazionali non vestfaliano ma moralistico, ideologico, dei puri contro gli impuri, dei democratici contro gli autoritari, dei bianchi contro i neri, si scatena inevitabilmente.
Ci sono già troppi guelfi e ghibellini nella storia millenaria dei Balcani perché s’invochi l’imposizione di una pace non costruita con – e non nonostante – le popolazioni e le culture popolari di quelle terre. È una questione che le classi dirigenti russe hanno capito da secoli e che quelle dominanti europee e anglosferiche paiono non capire mai.
La guerra di aggressione imperiale e imperialistica russa all’Ucraina a cui si continua a rispondere con una guerra che prima che militare è ideologica, irrealistica e che ha distrutto forse irreversibilmente una coesistenza pacifica tra anglosfera e mondo russo e mondo asiatico a dominazione cinese, quella guerra aveva in sé sin da subito la tragedia balcanica. Ora essa si addensa sui nostri capi. Guai se riprendessero i bombardamenti che cambiarono la storia europea e italica irreversibilmente: fermiamo la guerra, imponiamo il cessate il fuoco nelle terre nere e convochiamo subito una conferenza di pace per i Balcani con tutte le nazioni interessate. Forse sarà utile anche per fermare la guerra che oppone la Russia all’anglosfera e ai suoi seguaci europei.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.