Grève, cioè sciopero. Lo ha indetto per oggi la Confédération générale du travail (Cgt) per alzare la retribuzione degli operai delle raffinerie, contro la perdita di potere d’acquisto determinata dall’inflazione. Quando i lavoratori hanno incrociato le braccia, la ricaduta nel settore pubblico, sotto forma di scarsità di carburante nelle stazioni di servizio, è stata pressoché immediata. Ed è il problema che ora agita la Francia, dove un distributore su tre è a secco. Esso-ExxonMobil ha raggiunto un accordo con le parti sociali (+6,5% in busta paga), ma negli stabilimenti Total la trattativa è al palo.



“Lo sciopero generale di oggi, esteso anche alla scuola e ai trasporti, alla funzione pubblica e ad altre categorie come i portuali, spargerà sale sulle ferite di un governo che rischia l’effetto contagio. Ma è figlio del sindacato, non della gauche di Mélenchon” osserva Francesco De Remigis, inviato a Parigi de Il Giornale in questa intervista.



E Macron appare disarmato. Ieri, ad un giornalista che gli chiedeva se la crisi stesse peggiorando, il presidente ha risposto “lo so”. Siamo di nuovo ai gilet gialli? “Il clima è simile”, spiega De Remigis, “ma stavolta 7 francesi su 10 non sostengono lo sciopero né il sindacato in trincea”.

I distributori sono senza carburante perché gli operai delle raffinerie di petrolio si sono fermati: che cosa è successo?

Che lo sciopero lanciato il 27 settembre è diventato uno strumento di ricatto. Gli operai delle raffinerie chiedevano un rialzo percentuale del 10% dei salari, volendo beneficiare a loro volta degli extraprofitti registrati dalle multinazionali come Total e rivendicando l’aumento dello stipendio per far fronte all’inflazione.



Davanti a questa situazione cosa ha fatto il governo di Parigi?

Poco. Troppo poco. Per giorni nulla. Macron ha esordito spiegando che non sarebbe stato giusto intervenire in una trattativa privata, visto che i picchetti erano negli stabilimenti Total ed Esso-ExxonMobil. Ma in meno di quindici giorni una bega nel settore privato si è trasformata in un caso pubblico, a causa degli effetti degli scioperi nelle raffinerie sulla popolazione.

Per esempio?

Prezzi più alti alla pompa, code di un’ora e mezza per un pieno e carburante sostanzialmente razionato col divieto di fare scorta con le taniche, finché in molte stazioni di rifornimento la benzina non è più arrivata o si trovava a singhiozzo. Lo sciopero ha cominciato a impattare sulla vita di tutti i giorni dei francesi, che all’inizio neppure sapevano che fosse in corso uno sciopero nelle raffinerie.

Com’è oggi la situazione?

Ancora adesso un benzinaio su tre è sostanzialmente a secco. E nelle regioni di Parigi e del Centro-Nord c’è la situazione peggiore. Ma il muro del sindacato scricchiola, si parla di un centinaio di operai su 3.500 nel complesso che votano ancora per lo sciopero a oltranza, tenendo in ostaggio gli impianti.

Eppure si è arrivati alla piazza.

Esattamente. Ma domenica scorsa per un motivo diverso, con la sinistra che sta provando a saldare la sua protesta contro l’inazione del governo sul clima, al malcontento per il carovita, caro bollette e ora caro benzina.

E il governo, sulla crisi della benzina, cosa ha fatto?

La comunicazione del governo è stata disastrosa, disorganica, poco chiara. Il presidente Macron ieri non ha trovato di meglio da dichiarare di uno sterile “posso dire solo che continueremo a fare il massimo”.

E sarebbe?

La scorsa settimana il governo ha deciso di attingere alle scorte d’emergenza sparse su 90 siti in tutto il Paese, e la premier Borne ha annunciato ieri la proroga dello sconto di 30 centesimi al litro alla pompa statale fino a metà novembre, assicurando che Total estenderà lo sconto di 20 centesimi fino alla stessa data. Ma ciò serve a placare i francesi infuriati, non c’entra nulla con la trattativa dei sindacati e con i picchetti, per i quali Macron può solo incrociare le dita.

E come si sono mossi i sindacati?

Con astuzia. Sono riusciti, pur divisi, ad allargare lo sciopero non solo alle raffinerie ma al personale di quasi tutti i comparti energetici, comprese le centrali nucleari. E se Esso-ExxonMobil, dopo che la società ha concordato con le sigle più moderate un aumento del salario del 6,5% per il 2023, ha riaperto due raffinerie, la Cgt, il sindacato protagonista e massimalista, ha rifiutato l’offerta della Total di aumento del 7%. Quindi siamo al punto di partenza o quasi negli stabilimenti Total. Tre raffinerie (su sette) e cinque grandi depositi (su circa 200) sono ancora in sciopero.

Mentre parliamo a che punto è la crisi?

Ieri 4 ore di riunione d’emergenza all’Eliseo non sembrano aver dato buoni frutti. Nuove precettazioni a Dunkerque e Feyzin, nel Rodano, per rifornire le stazioni di servizio a secco in Alta Francia, Auvergne-Rhône-Alpes e Bourgogne-Franche-Comté. Ma parliamo dei depositi, da dove cioè parte la benzina stoccata. Sono soluzioni tampone.

Quale è il livello vero di protesta o di tensione sociale?

In alcuni casi si è arrivati persino al bagarinaggio del carburante, con arresti in diverse località di ragazzi che provavano a vendere taniche piene dove non c’era benzina. Ma negli stabilimenti c’è maretta, per non dire altro.

I partiti come leggono la situazione?

Il dibattito politico si è svolto sull’efficacia della scelta di precettare i dipendenti partendo da un solo sito e arrivando poi a due, con l’obiettivo di far partire i primi camion con la benzina per le pompe. I partiti di opposizione si sono mostrati freddi verso il governo. Tutti. Sembra che nessuno sappia cosa fare per sbloccare lo stallo. E intanto hanno mandato sotto la maggioranza già due volte sulla finanziaria.

Cosa sta facendo o intende fare l’opposizione di Mélenchon?

La gauche estrema, prima forza di opposizione, cavalca la protesta delle raffinerie senza esserne portavoce, anzi c’è antagonismo tra la Cgt e Mélenchon. Domenica il tribuno della gauche era in piazza, come ho detto per altre ragioni. Lo sciopero generale di oggi, esteso anche alla scuola e ai trasporti, alla funzione pubblica e ad altre categorie come i portuali, spargerà sale sulle ferite di un governo che rischia l’effetto contagio. Ed è figlio del sindacato, non di Mélenchon.

Torniamo a Macron.

Macron è all’angolo ma non teme le piazze. Serve un colpo di coda e una comunicazione più puntuale, senza coni d’ombra e chiaroscuri, come fece per il Covid. Siamo invece al giorno per giorno, all’improvvisazione, perché non ha lui il dossier in mano ma i sindacati e le multinazionali. Faccio un esempio: mercoledì scorso Macron ha annunciato che le cose alle stazioni di servizio sarebbero migliorate questa settimana. Non è stato affatto così.

Una previsione?

È difficile. Mi pare di capire che per altri dieci o quindici giorni la Francia avrà problemi a fare il pieno. E le riserve strategiche di carburante come ultima istanza, se non si sblocca la trattativa sindacale in cui il governo non vuol mettere becco, sono solo un placebo.

A tuo avviso c’è un rischio di radicalizzazione come per i gilet gialli nel 2019?

Il clima è simile, la protesta diversa perché parte dal privato. Ma stavolta 7 francesi su 10 non sostengono lo sciopero né il sindacato in trincea. Quando manca la benzina ad ambulanze e camion della spazzatura, immaginate… Ciononostante, i sindacati chiedono di proseguire il blocco delle raffinerie Total finché non ottengono un +10% in busta paga.

In Italia solo il 16 agosto giornali e tv hanno cominciato a fare titoli sulla crisi economica ed energetica in arrivo, della cui gravità l’opinione pubblica italiana, come ripetiamo da tempo su questo giornale, non ha un’esatta percezione. E in Francia?

In Francia è un tema centrale la crisi dei prezzi, sin dalla campagna elettorale. I rincari sul carrello della spesa sono stati affrontati. Ora l’energia. Già da aprile il governo ha messo in atto uno sconto per aiutare i consumatori a far fronte agli aumenti dei prezzi del carburante. Se sulle bollette Macron si è mosso piuttosto bene, sulla benzina che manca a oggi sta alla finestra. Ieri il ministro Le Maire ha chiesto semplicemente di “liberare” i depositi, spiegando che la voce della maggioranza deve vincere sulla minoranza. Pochino, insomma.

Macron ha detto che “Serve una politica massiccia per reindustrializzare l’Europa”. Un esempio: la produzione automobilistica livello europeo è crollata, -40%, vuol dire 4 milioni di veicoli in meno. E milioni di posti di lavoro colpiti. Ha in mente questo il presidente? O altro?

Macron ha in mente una cosa più di altre: riportare quanta più produzione possibile in Francia. Auto, industria farmaceutica, agricoltura e industria energetica. E di tanto in tanto sostenere la transizione con incentivi laddove possibile. Gli aiuti per l’acquisto di un veicolo elettrico, per esempio, passeranno da 6 a 7mila euro. Lo ha annunciato ieri, mentre mezza Francia andava a caccia di gasolio!

(Federico Ferraù)

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