Pandemia, tempeste di neve in Texas, uragano devastante a New York: la presidenza Biden è segnata da una serie di catastrofi a cui lui stesso ha aggiunto il tragico ritiro dall’Afghanistan. Un ritiro che tutti gli americani volevano, ma che nessuno ha approvato nel modo in cui è stato gestito: “Una vera e propria fuga di un esercito che ha abbandonato dietro di sé armi sofisticate, distruggendo elicotteri e aerei” come ci ha detto in questa intervista Rita Lofano, vicepresidente dell’agenzia di stampa Agi e già corrispondente dagli Stati Uniti.



Ovviamente in questo quadro l’indice di gradimento di Biden, ci ha detto ancora, è crollato: “Anche i suoi elettori, i democratici, lo disapprovano esplicitamente. Quello che pesa sono le dichiarazioni, che stanno uscendo adesso in forma non ufficiale, degli alti vertici militari americani, i quali avevano sconsigliato al presidente questa fuga affrettata”. In questo quadro si fa sempre più insistente l’ombra di una ricandidatura di Donald Trump.



Si parla di una telefonata di Joe Biden, a fine luglio, fatta all’ex presidente afghano Ashraf Ghani, nel corso della quale il presidente Usa gli avrebbe chiesto di mentire sull’avanzata dei talebani. Le risulta? E quanto può pesare questo fatto su una immagine già criticatissima?

In realtà è una notizia che gira da un po’. L’ex portavoce di Trump, ad esempio, ha dichiarato che Biden con questa telefonata avrebbe provocato la morte dei tredici soldati americani all’aeroporto di Kabul. È una delle argomentazioni usate da chi lo critica, ma di fatto è stato criticato all’unanimità.



Qual è esattamente il motivo delle critiche?

Un sondaggio di orientamento conservatore rivela che il 61% degli americani disapprova la gestione del ritiro e tra questi il 94% sono repubblicani e il 71% democratici. Questo è significativo. Un altro sondaggio di altro orientamento politico ha avuto lo stesso risultato. L’approvazione di cui Biden aveva goduto per la gestione della pandemia è crollata dopo il 14 agosto.

Cosa pesa di più?

È uscito un editoriale interessante sul Financial Times, firmato dal generale John Allen, che diceva: sicuramente tutti volevamo il ritiro, sicuramente gli Usa dovevano lasciare l’Afghanistan, ma la storia ci giudicherà per come lo abbiamo lasciato. Allen è stato il comandante delle forze Nato in Afghanistan, uno che sa di cosa parla.

Sono parole forti, le condivide?

Il modo con cui gli Usa hanno lasciato l’Afghanistan grida vendetta. Pensiamo a Massoud, il figlio dell’eroe nazionale le cui foto erano in tutti gli edifici pubblici. Adesso è nella valle del Panshir senza speranza e senza aiuti. L’altro elemento critico è la posizione americana nel contesto geopolitico.

Cosa intende dire?

La dichiarazione dell’Alto rappresentate dell’Unione Europea per gli affari esteri, Josep Borrell, in cui ha detto che se i talebani garantiscono sicurezza si può pensare a una rappresentanza congiunta della Ue a Kabul, è significativa. Gli americani hanno oggi disperatamente bisogno dell’Europa, ma anche dei talebani per evitare e scongiurare che l’Afghanistan diventi una roccaforte di terroristi.

Il Pentagono ha infatti dichiarato: non siamo in guerra con i talebani, ma con l’Isis.

Appunto. Tutto questo mentre si avvicina un appuntamento importante come il ventesimo anniversario dell’11 settembre. Per Biden quella doveva essere la data ufficiale del ritiro, ora si ritrova a rischiare un attentato, un atto ostile da parte dell’Isis alla vigilia di una data così importante.

All’interno dell’amministrazione ci sono voci discordanti o Biden è sostenuto da tutti?

Nell’ultimo discorso di martedì ha ribadito ripetutamente che la sua scelta strategica è stata fatta nel rispetto della data concordata da Trump, il 31 agosto, con l’appoggio dei vertici delle forze armate. È trapelato invece come, in realtà, i vertici militari non appoggiassero affatto questa scelta, perché informati di una possibile escalation della minaccia terroristica. Inoltre una fuga di questo tipo, abbandonando armi e mezzi militari davanti agli occhi di tutti, appare come un’autentica resa. 

Secondo lei, Biden riuscirà a recuperare la popolarità che ha perduto?

Bisogna aspettare l’11 settembre. Tra l’altro è stato invitato a parlare anche George W. Bush, che era presidente l’11 settembre 2001, e mai le sue parole, anche in modo informale, sono attese come questa volta. Questo la dice lunga di come la leadership sia incrinata. C’è da dire a sua discolpa che la presidenza Biden è stata caratterizzata da crisi infinite, alcune a lui addebitabili, altre ereditate, come la pandemia, il disastro ambientale in Texas con tempesta di neve e adesso l’uragano Ida. Attualmente ci sono dati sull’occupazione molto al di sotto delle aspettative, tutto dipenderà da come andrà l’economia e come si risolverà questa crisi. Va detto che i parlamentari democratici, per quanto critici, non l’hanno scaricato.

(Paolo Vites) 

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