Ogni volta che succede qualcosa nel Continente latinoamericano, come giustamente sottolinea Mauro Bottarelli nel suo bellissimo e condivisibile articolo, in certi settori della politica gli anni Settanta resuscitano di colpo. E non mi riferisco solo al Vecchio Continente, ma pure al Nuovo. La settimana scorsa ne ho avuta un’ulteriore conferma partecipando a una tre giorni tenutasi a Buenos Aires da parte di una organizzazione che si è definita “Grupo de Puebla” e che riunisce personalità politiche di quello che dovrebbe essere il fronte progressista latinoamericano (con la presenza pure dello spagnolo Zapatero) dove però, a parte il fiammante Presidente argentino Alberto Fernandez, le seppur varie e importanti personalità presenti avevano una particolarità che le univa: non aver attualmente nessun incarico politico di rilievo nel proprio Paese. O per aver perso le elezioni o per essere immersi in scandali di corruzione di vario genere. Ma la bandiera dei “Popoli oppressi dall’Imperialismo Usa” e altri slogan del genere sventolava ancora.



Chissà, se avessero rimandato di una settimanella l’assise ci sarebbe stato posto anche per Evo Morales, che ha appena dichiarato di voler rientrare in Bolivia per riappacificare la nazione. Mentre nel mondo ci si continua ad accapigliare se quello boliviano debba considerarsi un golpe o no, come se fosse una discussione da bar e in definitiva quello che accade da mesi in Bolivia non interessi poi tanto, si iniziano a scoprire degli altarini che aumentano il sospetto (direi che lo ingigantiscono) che quello della settimana scorsa possa considerarsi (con buona pace dei dizionari) un autogolpe.



Premessa a tutto questo discorso: che sotto i 13 anni di Governo di Morales la Bolivia abbia fatto un salto di qualità notevole, sia economico che sociale, non lo metto in dubbio, ma, come accaduto in Brasile con Lula e il PT, in Ecuador con Rafael Correa e anche in Argentina con Cristina Kirchner (che però al Paese ha donato il record della corruzione più gigantesca della sua storia…) il virus del “potere eterno” ha celebrato un’altra vittima.

Andreotti diceva che “il potere logora chi non ce l’ha”, ma, bisognerebbe aggiungere, dà un po’ alla testa pure a chi lo detiene da tanti anni, tanto da trasformarlo, nella pratica, in un dittatore. Cancellando, di fatto, la democrazia e pure il senso di una Repubblica, mantenendola solo formalmente. No, non mi sono dimenticato del Venezuela, vero precursore di questa malattia, ma lì c’è stato quello che in altri Paesi non è accaduto: un esercito a puntellarlo con una repressione che ormai fa veramente tornare agli anni Settanta dei vari Pinochet o Videla che dir si voglia.



Oddio, che in Bolivia l’Esercito non sia stato presente non è propriamente esatto, ma non nel senso citato dai “revolucionarios” anni ‘70 ancora presenti sul Pianeta Terra. Come giustamente sottolinea l’esperto legislativo e storico argentino Carlos Manfroni in un suo articolo per il quotidiano “La Nacion”. Dopo una premessa in cui si evidenzia come Morales abbia infranto dapprima la Costituzione che lo obbligava a farsi da parte avendo già oltrepassato la soglia dei mandati presidenziali, poi un referendum popolare del 21 febbraio che aveva confermato il verdetto, quindi elezioni del 20 di ottobre che sono state chiaramente, come le definisce anche il segretario dell’Organizzazione degli stati americani, Luis Almagro, “viziate da una catena di irregolarità gravissime sia tecnologiche, negli atti di custodia e integrità dei voti e nelle proiezioni statistiche”, Manfroni si pone la seguente domanda: come mai in pochissimi parlano del Generale William Kaliman Romero, il capo delle Forze Armate che avrebbe suggerito a Morales di dimettersi? Semplice: perché si scoprirebbe che Romero è un fedelissimo di Morales, da lui nominato Comandante in Capo delle Forze armate il 24 dicembre del 2018, quindi all’apogeo del potere del Mas, il “Movimiento al Socialismo” del quale il fiammante Comandante era fedelissimo, al punto da dichiararsi “Soldato del processo di cambiamento” e definendo gli oppositori come “Antipatria” e “Detrattori antinazionalisti”, fatti per cui venne denunciato da diversi esponenti politici.

Insomma, un uomo che godeva (e gode) dell’estrema fiducia del capo che d’un tratto, dopo che lo stesso Morales aveva promesso di indire altre elezioni (come richiesto dall’opposizione e dalle immense proteste popolari), accetta la proposta di dimettersi. Qualcosa non torna e ovviamente il fatto che Morales abbia accettato il “consiglio” di chi ha sempre dichiarato che “le Forze armate moriranno antimperialiste” sa, usando un termine calcistico tanto caro al grande Ciotti, di “tiro telefonato”, in pratica una mossa suggerita al capo che poi fa la classica dichiarazione di golpe vittimizzandosi e fuggendo dal Paese.

Oltre alla brillante nota di Manfroni c’è un altro dato a confermare questa versione: una foto, diffusa in un tweet da Evo Morales, dove l’ex Presidente mostra il suo primo giaciglio dopo la fuga da La Paz. Due cose si notano subito: risulta impossibile credere che Evo possa aver dormito su di una coperta come materasso protetto da una specie di zanzariera. La seconda è che la posa assunta suggerisce che quello sia l’unico momento nel quale Morales si sia avvicinato a quel letto da “Giovane Marmotta”. In poche parole si tratta di una montatura bella e buona, il che porta a pensare a una costruzione atta a essere messa in pasto ai media per vittimizzarsi ancora di più.

È chiaro poi che ognuno può pensarla come vuole, ma è chiaro altrettanto come, con l’evoluzione del nostro linguaggio dovuto alla tecnologia, in questo caso l’evidenza di certi fatti debba essere tenuta in debita considerazione, come anche le modalità di definizione di certi avvenimenti latinoamericani. Definire come popolare la rivolta contro il Presidente cileno Piñera (che non ha truffato le elezioni o imposto la sua candidatura) e invece come “della destra oppositrice” quella che in Bolivia si è ribellata a un candidato che ha truffato le elezioni la dice lunga su quanto, in certi ambienti politici, si viva una fiction spacciata per realtà.