tinSulla carta, quella degli accordi di Dayton del 1995 che posero fine alla guerra, è una federazione; in pratica, un protettorato internazionale che da allora cerca di trovare una soluzione a una convivenza che nessuno vuole. E’ la Repubblica di Bosnia ed Erzegovina, suddivisa in Repubblica serba, islamica e croata, dove le contraddizioni esistenti stanno nuovamente esacerbando la situazione. Come ci ha detto in questa intervista il corrispondente di guerra de Il Giornale, Fausto Biloslavo, che fu fra i primi giornalisti ad andare nella ex Jugoslavia in guerra e che conosce benissimo quella realtà, “in Bosnia c’è sempre il pericolo che tutto ricominci come prima”, così intendendo il periodo dei massacri tra il 1991 e il 1995, quando la maggioranza serba fece pulizia etnica dei musulmani.
Da tempo al potere, Milorad Dodik, l’esponente serbo della presidenza tripartita bosniaca, sembra puntare in questo senso, con una serie di iniziative condannate a livello internazionale: un piano preciso per ritirare l’entità serba del Paese dalle istituzioni statali, creando delle istituzioni indipendenti, in particolare in alcuni settori come l’amministrazione del fisco, la magistratura, l’intelligence e persino la difesa. Si sente le spalle protette, lo ha detto in modo esplicito prima di partire nelle ore scorse per Riga, in Lettonia, dove ha incontrato il presidente russo Putin: “Se qualcuno cerca di fermarci, abbiamo amici che ci difenderanno” ha detto, indicando tra i suoi sostenitori anche il leader cinese Xi Jinping.
Cosa sta succedendo in Bosnia? Milorad Dodik fa sul serio? O sono i russi che lo spingono?
Bisogna risalire agli infausti accordi di Dayton del 1995, che fermarono la guerra in Bosnia, ma non hanno risolto i problemi politici ed etnici della regione, creando questa idea artificiale di un paese in cui i bosniaci dovevano stare tutti insieme.
Cosa si sarebbe dovuto fare?
Si sarebbe risolto tutto se i serbi fossero andati con la Serbia, i croati con la Croazia e per i musulmani si fosse istituita Sarajevo come una libera città-stato, una sorta di bella Montecarlo islamica dei Balcani, dove tutti stavano in pace. Invece hanno voluto disgregare ulteriormente il paese, ma i nodi vengono sempre al pettine.
Che personaggio è questo Dodik?
Molto furbo, e si avvantaggia della stupidità dei rappresentanti europei, che hanno considerato la Bosnia-Erzegovina un protettorato, una sorta di paese senza identità alcuna. Dodik, poi, nasce come uomo degli americani, era loro stretto alleato, ma si è spostato a Est, perché lì trova chi lo ascolta.
Dice che anche Xi Jinping è suo amico. È vero?
Sì, cinesi e russi non vedono l’ora di mettere le mani su questa regione. Dodik dice sempre che i russi lo ascoltano, mentre gli occidentali gli impongono le cose, e ha anche ragione. Fece registrare un incontro avuto con un alto funzionario americano per la Bosnia, durante il quale cercò di imporgli una sorta di diktat. Putin, a sua volta, ha tutto l’interesse ad aiutare i serbi per allontanarli dall’ombrello della Nato e della Ue, anche se la Bosnia-Erzegovina ha sempre guardato all’Europa.
Siamo davanti a rischi concreti?
Sì, bisogna stare in allarme davanti a Putin. Dodik aveva anche minacciato di prendere il comando dell’esercito, dicendo che deve essere l’esercito dei serbi. Non dico che potrebbe esserci un colpo di mano, ma potrebbe succedere qualcosa di simile a quanto accaduto in Crimea. Insomma, Dodik, ben consigliato da Putin, potrebbe prendere il potere in tutto il paese senza sparare un colpo, magari circondando le caserme.
Scoppierebbe una nuova guerra civile?
Non credo sia la sua intenzione, ma se invochi una strada scivolosa in Bosnia, non sai mai come va a finire. In Crimea non si è sparato un colpo, però c’erano i russi; qui ci sono i serbi bosniaci, si può sempre rischiare una scintilla. Il mio ex interprete, che ha fatto carriera diplomatica, mi dice sempre che nel momento in cui l’Europa va via e non arrivano più i soldi, tutto può ricominciare come prima. Proprio perché a Dayton, alla fine della guerra, non è stato risolto il problema alla radice, ma solo a livello militare.
(Paolo Vites)
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