LONDRA – Non è stato affatto un Super Saturday. Nessun voto sull’accordo. Anzi, quello che la seduta straordinaria del Parlamento britannico ha prodotto è stato ancora una volta un rinvio. Un voto per ritardare la Brexit.

A mettere i bastoni tra le ruote al premier Boris Johnson è stato un ex conservatore, Oliver Letwin, espulso dal partito dopo aver votato per bloccare una Brexit senza accordo a settembre. Letwin, che ora siede a Westminster come parlamentare indipendente, ha presentato un emendamento secondo il quale l’accordo tra Londra e Bruxelles deve diventare legge prima di essere votato.



L’emendamento è passato con 322 voti favorevoli e 306 contrari, quindi con una maggioranza di 16 voti. Ennesimo rinvio e ancora nessun voto sull’accordo di Johnson. Ma il Governo intende sottoporlo al voto lunedì, sulla base della legislazione che prevede il voto (meaningful vote) dei Commons su un accordo negoziato con l’Unione Europea.



I conservatori sono convinti che Johnson abbia i numeri perché l’accordo sia votato dalla maggioranza. Infatti, tra coloro che hanno votato l’emendamento Letwin ci sono quelli favorevoli all’accordo negoziato dal premier. Se quindi si fosse votato l’accordo (e non l’emendamento) Johnson avrebbe potuto vincere.

Lo stesso Letwin, e qui la cosa si fa paradossale, ha detto che intende sostenere l’accordo di Johnson, ma che vuole prima essere sicuro di avere una sorta di “polizza assicurativa” nel caso l’accordo sulla Brexit venisse approvato ma poi qualcosa andasse storto nel processo legislativo. Posizione condivisa da altri parlamentari che hanno votato l’emendamento.



Questo ovviamente porta delle complicazioni. La prima è che si tratta di una legislazione complessa (il Withdrawal Agreement deve essere incorporato nella legislazione del Regno Unito). Quindi, potenzialmente potremmo avere un enorme ritardo nel processo della Brexit. La legge, infatti, dovrà passare dalla House of Commons e dalla House of Lords, le due camere legislative del Parlamento britannico. Ed è lecito aspettarsi emendamenti sia dai Commons e sia dai Lords.

La seconda è che l’emendamento Letwin ha fatto scattare il Benn Act, la legge approvata dal Parlamento a settembre che obbliga il premier a chiedere un’estensione di tre mesi della Brexit in mancanza di un’accordo approvato dalla maggioranza. Esattamente lo scenario che i leader europei avrebbero voluto scongiurare.

Boris Johnson ieri ha scritto una lettera ai parlamentari dicendo che la sua priorità resta realizzare la Brexit il 31 ottobre e che non negozierà mai un rinvio con l’Ue. Ma negoziare un rinvio e scrivere una lettera a Bruxelles chiedendo altro tempo, come prevede il Benn Act, sono due cose leggermente diverse.

Non è stata la giornata che il premier avrebbe voluto. E nemmeno Bruxelles, che sembrerebbe orientata ad attendere alcuni giorni per vedere cosa succede a Westminster, prima di rispondere alla lettera di Johnson.

Non è infatti nemmeno detto che lunedì la mozione sull’accordo sia messa al voto, perché è prerogativa dello Speaker del parlamento, John Bercow, decidere se metterla in agenda. Inoltre, qualcuno potrebbe presentare un altro emendamento per impedire il voto.

Chi ha ben sintetizzato, in una frase, la sensazione condivisa da molti dentro e fuori dal parlamento è stata l’ex premier Theresa May, che ha detto di provare un senso di “déjà vu”.

Il paese resta diviso. A Londra quasi un milione di persone hanno manifestato in centro per chiedere di restare nell’Ue. I ministri del governo Johnson sono stati scortati dalla polizia fuori da Westminster. I sostenitori della Brexit hanno perso fiducia nel Parlamento e si sentono traditi perché a tre anni e mezzo dal referendum si parla ancora di rinvii.

Tra liberal-democratici, laburisti, nazionalisti scozzesi e unionisti nordirlandesi c’è uno zoccolo duro che ha intenzione di affossare l’accordo negoziato da Johnson e che è determinato a mettere la Brexit nel cassetto. Faranno di tutto per bloccarla. Resta da vedere se e come Johnson riuscirà a sbloccare una situazione che al momento sembra davvero molto aggrovigliata.