LONDRA — Il Parlamento ha votato yes… but no! Sì all’accordo, ma no ad un iter rapido della legge che lo implementa. Che cosa significa questo per la Brexit?
Innanzitutto, significa addio alla Brexit il 31 ottobre. Boris Johnson non ha potuto mantenere fede alla sua promessa di uscire dall’Unione Europea per quella data no ifs, no buts (senza se e senza ma) e, in questo, ha fallito. Il Parlamento lo ha bloccato sulla tempistica. Tuttavia, il premier è riuscito a conquistare una maggioranza significativa a sostegno del suo accordo (329 voti a favore). Dove l’ex premier Theresa May non era riuscita, Johnson ha fatto invece un buon lavoro nel compattare i conservatori, che hanno votato sia per l’accordo, sia per un iter rapido di approvazione della legge (in tre giorni).
In secondo luogo, significa che non potendo fare la Brexit il 31 ottobre con un accordo, spetta ora a Bruxelles decidere se concedere un’estensione dell’Articolo 50 affinché il Parlamento abbia più tempo per discutere la legge. Molto controvoglia Bruxelles concederà una proroga, perché è nell’interesse dell’eurozona che si vada fino in fondo e che il Regno Unito lasci l’Unione, ma con un accordo.
Terzo, significa un ritorno dell’incertezza, che non fa bene né all’economia britannica, né all’eurozona, che già ha a che fare con il problema della crescita zero e di una possibile recessione della Germania. Lo scenario resta quello di una hard Brexit e questo fa molta paura ai mercati, a Bruxelles e alla Gran Bretagna. Sullo sfondo torna poi a materializzarsi anche lo scenario di una revoca della Brexit, che si riaffaccia con prepotenza ogni volta che si torna a parlare di proroghe.
Ammesso che Bruxelles conceda un’estensione, durante questo periodo potrebbe infatti succedere di tutto. Innanzitutto, l’iter legislativo del Withdrawal Agreement – la legge sulla Brexit elaborata dal governo sulla base dell’accordo con l’Ue – sarà un percorso minato. Le opposizioni, quindi i laburisti, i liberal-democratici, il partito nazionalista scozzese e quello unionista nordirlandese, vogliono affossare l’accordo di Johnson. Quando la legge sarà discussa nei Commons possono presentare un’infinità di emendamenti su punti controversi e sostanziali dell’accordo negoziato con Bruxelles.
Per esempio, i laburisti vogliono restare nell’unione doganale e vogliono che la legge sia cambiata su questo punto fondamentale. Che è precisamente il motivo per cui l’accordo negoziato dalla May, che non prevedeva un’uscita dall’unione doganale, non è mai stato votato dal Parlamento. Inoltre, vogliono attaccare all’approvazione della legge la clausola di un secondo referendum. I liberal-democratici rifiutano completamente la Brexit e chiedono la revoca dell’Articolo 50, quindi voteranno sempre contro. I nazionalisti scozzesi hanno in agenda l’indipendenza della Scozia (dove il 60% ha votato remain al referendum) e non hanno nessun interesse a sostenere la Brexit. I nordirlandesi ne vorrebbero ridurre l’impatto sull’Irlanda del Nord, che è cosa praticamente impossibile. Insomma, il processo legislativo – sia che sia concesso un mese di tempo, o tre mesi o sei mesi – si annuncia complicato e pieno di trappole lungo il percorso.
Per questo Johnson ha deciso di sospendere la legge sull’accordo, quella che i parlamentari avrebbero dovuto discutere in tre giorni, e di chiedere le elezioni anticipate. Il suo problema principale è la mancanza di una netta maggioranza a Westminster, che gli permetta di andare avanti con il suo programma. Ha già lo slogan elettorale (noi conservatori vi avremmo dato la Brexit il 31 ottobre, ma l’opposizione in Parlamento ce lo ha impedito).
Difficile che Bruxelles accetti modifiche all’accordo. I parlamentari potranno anche presentare la lista dei loro desideri, ma l’Ue ha escluso di tornare al tavolo dei negoziati.
Ogni gruppo politico fa il suo gioco, indipendentemente da quello che vogliono gli elettori. La view prevalente per le strade della Gran Bretagna è: tra tre mesi saremo ancora qui a discutere la Brexit in Parlamento.