LONDRA — Nessuno decide. Rinviare le decisioni sembra essere diventato lo sport nazionale. Non solo per Westminster, che voleva decidesse Bruxelles. Ma anche per Bruxelles, che aspetta di capire cosa decide Westminster.
Ieri i 27 paesi membri dell’Unione Europea hanno rinviato la decisione sul rinvio (si perdoni il gioco di parole) da concedere al Regno Unito. Forse sapremo qualcosa lunedì o martedì. In linea di principio, tutti d’accordo – in questa Europa abbastanza morbida sulla Brexit – nell’offrire un’altra estensione. Ma ci sono opinioni diverse se si debba concedere un periodo di tre mesi o più breve, come invece vorrebbe la Francia, convinta che la brevità possa fare pressione su una Westmister molto incline ai rinvii.
Scusate, ma la Brexit saga sta diventando totalmente comica. E in mezzo a questo mare di indecisione e rinvii, abbiamo un premier a Londra che prende decisioni per tutti, rinvigorito dall’accordo negoziato con l’Unione Europea e votato – in linea di principio – da Westminster. Ma soprattutto preoccupato di sfruttare politicamente il momento di gloria, prima che svanisca.
L’ultima decisione di Boris Johnson è chiedere al Parlamento di votare per le elezioni anticipate il 12 dicembre, dopo avere congelato la legge (Withdrawal Agreement Bill) sulla quale già si addensa una nube carica di emendamenti.
Ma anche sul voto a dicembre si prevede un blocco lunedì in Parlamento, perché il premier non sembra avere i numeri. Servono i due terzi del Parlamento per legge e Johnson ha bisogno del sostegno dei laburisti. La posizione di Jeremy Corbyn, leader dell’opposizione, è elezioni a dicembre solo se il premier dichiara in Parlamento che l’opzione “no deal” (l’uscita dall’Ue senza un accordo) sarà tolta dal tavolo, magari con una clausola. Corbyn si riferisce anche alla possibilità che, in mancanza del raggiungimento di accordi commerciali, al termine del periodo di transizione il Regno Unito possa ancora incorrere nello scenario no deal. E questo sarebbe catastrofico, dice, per i diritti dei lavoratori.
Ma Johnson non può prometterlo, perché i conservatori non lo accetterebbero. Così il premier ha cercato di avere l’appoggio dei laburisti promettendo in cambio più tempo per rivedere la legge sull’uscita dall’Ue, ma non si è arrivati a nessun accordo. Le elezioni anticipate dividono il partito laburista, perché in molti non credono che andare al voto a dicembre sia una buona idea. E ci sono dubbi anche tra i conservatori.
Tra i sondaggi più recenti, quelli di Britain Elects danno i conservatori in cima alle preferenze nelle intenzioni di voto (35%), mentre i laburisti si attesterebbero al 25%, i liberal-democratici al 18%, il Brexit party all’11% e i verdi al 4%. I sondaggi vanno sempre presi con le pinze perché non sempre riflettono la realtà. Ma da tempo i laburisti hanno perso trazione e temono il responso delle urne.
Cosa aspettarsi la prossima settimana? Rinviando di alcuni giorni la decisione su quanto tempo concedere a Londra, Bruxelles aumenta la pressione sui parlamentari britannici. Un’estensione tecnica della Brexit, limitata nel tempo, per concedere al Parlamento i tempi necessari per ratificare la legge, sarebbe certo utile a Johnson e alla Brexit. In Parlamento ci sono molti politici che vorrebbero ribaltare il verdetto del referendum del 2016, magari con un secondo referendum. E poi magari con un terzo – tanto l’Ue continua a concedere i necessari rinvii – fino a quando esca dalle urne il verdetto che ritengono accettabile. Un periodo di tre mesi farebbe il loro gioco. Bisognerà vedere se prevarrà la posizione francese, estensione tecnica, o se piuttosto i 27 opteranno per un’estensione lunga.
Intanto si avvicina il 31 ottobre e lo scenario di una Brexit senza accordo non è del tutto escluso, specie se non arriva la certezza di un’estensione da parte Ue.