La Corte Suprema del Regno Unito ha stabilito che la sospensione del Parlamento fino al 14 ottobre, voluta dal primo ministro conservatore Boris Johson e firmata dalla regina Elisabetta, è illegale. La sentenza ha immediato valore esecutivo, e lo speaker della Camera dei comuni, John Bercow, ha dichiarato che i lavori parlamentari riprenderanno mercoledì alle 11. Più o meno alla stessa ora è atteso il rientro in patria di Johnson, attualmente in viaggio negli Usa, che dalla sua entrata in carica è stato il fautore di una Brexit a ogni costo. “Una soluzione che oggi si allontana”, ci ha detto Luciano Maisano, inviato del Sole 24 Ore a Londra. E intanto la scadenza per arrivare a un accordo sulla Brexit, il 31 ottobre, è sempre più vicina. Al centro dei problemi resta il backstop, ovvero il permanere dell’attuale confine non rigido tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda. È il nodo principale: senza un confine rigido tra Regno Unito e Unione Europea, di cui la Repubblica d’Irlanda continuerà a far parte, Londra avrebbe difficoltà a firmare nuovi accordi commerciali, e gran parte dell’utilità della Brexit svanirebbe. Ma la creazione di un confine rigido tra le due Irlande è contraria agli accordi tra Londra e Dublino, e potrebbe far riesplodere le tensioni etniche tra cattolici e protestanti che hanno insanguinato il secolo scorso.



Partiamo dalla sentenza di oggi della Corte Suprema. Può dare adito a dubbi di legittimità?

È una sentenza del tutto legittima, e non c’è alcun motivo per domandarselo. È stata espressa all’unanimità da tutti i giudici della corte suprema e questo ne rende il significato politico ancora più pesante.

Però smentisce il decreto di scioglimento del Parlamento che Boris Johnson ha fatto firmare alla regina. Non c’è un rischio di conflitto tra poteri?



La regina agisce su suggerimento del primo ministro, non ha un’iniziativa politica. Il Regno Unito è una monarchia assolutamente costituzionale, e la regina ha dei margini di azione molto ristretti. Quindi la sentenza pesa esclusivamente su Boris Johnson, che da quando è primo ministro non ha fatto altro che incassare sconfitte in Parlamento, e ora anche dalla Corte Suprema. Tutta la sua strategia è stata un fallimento totale.

Qual è la situazione di Johnson adesso? Ha ancora margini d’azione politica?

Dentro il parlamento il governo di Johnson non ha più la maggioranza ed è destinato a sciogliersi per andare a elezioni al più presto, tra novembre e gennaio. All’interno del partito la sua posizione è più confusa: la base parlamentare è contraria alla sua linea, mentre gli iscritti al partito finora lo hanno sostenuto, ma è difficile dire se dopo tutte queste sconfitte resti ancora il candidato preferito dalla base.



È possibile che Johnson sia costretto alle dimissioni?

Sono soltanto delle voci, ormai il partito conservatore è stato epurato da tutti i ribelli. È un Parlamento strano perché ci sono 20 deputati conservatori che non saranno ricandidati nei loro seggi, ma che sono ancora conservatori. Dentro il partito la situazione è confusa.

Johnson ha anche detto no ad accordi col Brexit Party di Nigel Farage, pur essendo colui che voleva la Brexit a ogni costo. Come mai?

Johnson non poteva schiacciare il partito su una posizione così radicale, e poi avrebbe dovuto sacrificare dei seggi del partito conservatore per darli a Farage. Ciò avrebbe provocato una scissione interna molto più pesante di quella delle ultime settimane.

Quindi il partito conservatore non è pronto a schiacciarsi su una posizione pro Brexit?

Non passerà la linea di una Brexit a tutti i costi. La posizione che sta emergendo è quella di un’uscita negoziata con l’Unione Europea. Potremmo anche tornare all’accordo proposto da Theresa May a maggio con qualche correzione, anche se quell’accordo, che manteneva un’unione doganale con l’Ue, scontava l’opposizione del Pup, il Partito Unionista dell’Ulster, e dei conservatori più duri. Ma da questa situazione non si esce; se vogliamo che l’Irlanda resti com’è oggi, una linea di opposizione totale al backstop, cioè quella portata avanti dai Brexiters più duri e puri, non può passare.

A questo proposito, il parlamento europeo ha votato una risoluzione dove dice che “L’Unione non darà il proprio consenso a un accordo di recesso che non preveda alcun backstop”.

Uscire dall’impasse sul backstop è oggettivamente difficile. Potrebbe anche emergere una soluzione che preveda l’isola d’Irlanda unita da accordi di libero scambio tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del nord, e una linea di confine commerciale tra Irlanda del Nord e resto del Regno Unito. Ora questo progetto potrebbe tornare in auge. Prima a bloccarlo c’era non solo il partito conservatore ma anche il il Partito Unionista dell’Ulster, contrario a ogni forma di status diverso per Belfast rispetto a Scozia, Galles e la stessa Inghilterra. Ma adesso, anche con i voti del Pup, il partito conservatore non ha la maggioranza parlamentare, quindi non sono più fondamentali.

Una proroga sui termini della Brexit, che scadono il 31 ottobre, è ancora possibile?

La proroga è diventata lo scenario più probabile, nonostante Boris Johnson continui a dichiararsi sicuro di trovare un accordo con l’Europa. Se entro il 19 ottobre non avrà un’intesa con l’Ue, e questa poi non sarà ratificata dal Parlamento britannico, secondo la legge del Regno Unito dovrà obbligatoriamente chiedere una proroga.

Jo Swinson, la rappresentante del partito liberal democratico (al 19% nelle intenzioni di voto secondo Yougov), ha dichiarato che se andrà al potere abolirà la Brexit. Questa presa di posizione la sta favorendo rispetto ai laburisti?

È una posizione netta, radicale, ma che ha il pregio di aver reso il suo partito quello del Remain. Nei laburisti la base del partito è evidentemente favorevole al Remain, mentre la leadership ha una posizione più equivoca, è neutra ma favorevole a un nuovo referendum dove sottoporre al voto l’eventuale accordo che verrà negoziato. Anche la leadership di Corbyn è a rischio in questa fase.

Rispetto al 28 agosto, quando la regina firmò il decreto di sospensione del Parlamento fino al 14 ottobre voluto da Johnson, lo scenario è cambiato?

Si. Le ipotesi di una Brexit senza accordo con l’Europa sono diminuite, mentre le chance di un nuovo referendum sono fortemente aumentate. A mio avviso quello che sta emergendo con sempre maggior forza è che l’accordo sulla Brexit, qualunque sarà, dovrà comunque ripassare dall’esame popolare. Che sia attraverso elezioni o tramite un nuovo referendum, ormai è difficile che la Brexit avvenga senza una nuova espressione popolare.

(Lucio Valentini)