Dopo le manifestazioni di domenica in tutto il Regno Unito, siamo alle ultime manche della Brexit. Oggi il Parlamento inglese riapre per poi chiudere dal 10 settembre fino al 14 ottobre. Ce la farà Boris Johnson a bloccarlo o i parlamentari riusciranno a impedirne la chiusura, riaprendo così la partita della Brexit? Una sfida che, secondo Leonardo Maisano, commentatore da Londra del Sole 24 Ore, oggi si gioca su due punti. Innanzitutto, l’irrisolta diatriba sul backstop (un confine non rigido tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, ndr), su cui le posizioni tra Ue e Regno Unito restano agli antipodi. E sullo sfondo resta la questione delle due Irlande, pacificate nel 1998, ma che la creazione di un nuovo confine potrebbe nuovamente accendere. In secondo luogo, il profilarsi di una nuova minaccia all’ordine politico interno del Regno Unito: lo spettro delle elezioni anticipate agitato da Johnson contro i suoi parlamentari conservatori dissidenti, in un partito spaccato tra fazioni interne.



Cosa succederà adesso? I laburisti riusciranno a fermare la chiusura del Parlamento?

È in atto un tentativo delle opposizioni, ma anche di membri del partito conservatore, per evitare lo stop ai lavori parlamentari. Si tratta però di una mossa in extremis: hanno solo 4-5 giorni per far passare un provvedimento che dovrebbe avere anche l’approvazione della Camera dei Lord, dove le lungaggini procedurali renderanno ancora più ardua questa corsa contro il tempo.



Lo ritiene probabile?

È difficile, ma non impossibile. Lo vedremo da oggi, a seconda di quello che succederà in Parlamento.

Le manifestazioni di domenica possono avere un peso?

I cortei sono andati in scena in tutto il paese. Mentre prima erano ristretti alla sola capitale, adesso si svolgono a Manchester, Liverpool, Newcastle, Belfast, Edimburgo. Il malessere è diffuso. Non faranno cambiare idea a Johnson, ma ci proveranno.

Quindi la Brexit non è più una faccenda tra i remainers di Londra contro i leavers del resto del Regno Unito?

Gran parte del paese è contraria a lasciare l’Ue. Lo dimostrava già prima, ma non andava in piazza. Londra è la città più dinamica, più internazionalizzata. Tutto parte da qui. Adesso i remainers presenti in tutto il Regno Unito si stanno organizzando e ne stanno seguendo il modello. Va detto poi che le manifestazioni si sono sempre svolte in modo pacifico. Anche quando si sono toccati numeri da record, addirittura un milione di persone, non si ricordano tafferugli.



Johnson ha parlato di elezioni anticipate prima della data della Brexit. È una minaccia credibile?

Assolutamente sì. C’è poi la possibilità che per giochi parlamentari possa essere addirittura l’opposizione a portare il paese a elezioni anticipate. Ma la minaccia di elezioni serve a Johnson, che dice ai suoi deputati: se mi fate lo sgambetto e fate la legge che rende illegale la sospensione del Parlamento, impedendo di fatto una Brexit no deal, non sarete più ricandidati”.

Quindi la minaccia per i Tories dissidenti non è di espulsione dal partito?

Il punto è che non saranno ricandidati alle prossime elezioni. Una mossa radicale, perché finora coloro che si erano opposti alla Brexit non avevano mai ricevuto ultimatum di questo tipo. Ma ora potrebbe avvenire, confermando il livello di scontro interno al partito. La Brexit, in realtà, è una partita tutta interna al partito conservatore.

Michel Barnier, il negoziatore europeo della Brexit, ha detto che il backstop è il massimo che l’Ue può offrire al Regno Unito. Johnson ha invece sostenuto di volerlo togliere. Come finirà?

Il backstop è alla base dell’impasse in cui ci troviamo. La Gran Bretagna non lo vuole perché le impedirà accordi commerciali con paesi terzi. Aggirarlo, ovvero ottenere un confine rigido tra le due Irlande, è una mossa quasi impossibile da attuare. La Gran Bretagna vuole troppo.

Ovvero?

Vuole la botte piena e la moglie ubriaca, cioè vuole sia un trattato di cooperazione con l’Ue che mantenga intatti i rapporti economici con gli ex partner europei, sia le mani libere per fare nuovi accordi commerciali col resto del mondo.

Come evolverà il negoziato?

Non riesco a vedere un punto di compromesso. L’Ue non può cedere alle bizzarre richieste di questo nuovo esecutivo. La strategia inglese potrebbe anche essere questa: tirare la corda fino alla fine, alzando la posta e sperando così di piegare, anche marginalmente, la volontà dell’Ue. Ma non se ne comprendono gli esiti. Non è un vero negoziato, e l’Ue non sembra volersi piegare alle esigenze britanniche.

I cittadini dell’Irlanda del Nord, poi, potrebbero non essere d’accordo alla creazione di un confine rigido.

La tensione sta tornando a crescere e si sono già verificati episodi di violenza, anche se non se ne è parlato perché erano casi minori. Ma un confine rigido sarebbe in contraddizione col risultato sancito dall’Accordo del Venerdì santo del 1998, che pose fine al terrorismo dell’Ira. Se la situazione dovesse cambiare, l’accordo salterebbe, e un’escalation di violenza a quel punto sarebbe plausibile.

(Lucio Valentini)