Spunta il nome di Agostino Miozzo quale possibile commissario alla Sanità calabrese. Lo vorrebbe il presidente Giuseppe Conte, ma, secondo indiscrezioni in casa dem, pare che lo abbia indicato addirittura il ministro Luigi Di Maio, magari per placare quella fronda dei 5 Stelle che nell’ultimo Cdm avrebbe osteggiato l’investitura ufficiale di Narciso Moscarda, neuropsichiatra e dg dell’Asl Roma 6, già assessore del Pd nel Comune di Frosinone.
Il punto vero è che il governo non sa come uscire da questa storia (infinita) della Calabria. Conte non ha più jolly. Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico–scientifico e con un curriculum zeppo di incarichi importanti, non ha esperienza di organizzazione e gestione di aziende sanitarie pubbliche, che è invece il requisito preteso da quei parlamentari M5s calabresi che spingono per dirigenti locali. Peraltro, se di questi dirigenti ne fosse nominato qualcuno, scoppierebbe una guerra interna senza tregua. Infatti Nicola Morra guida la pattuglia dei deputati e senatori pentastellati che vogliono Gino Strada o comunque un profilo da antimafia che non abbia legame con la regione. Impossibile la sintesi, date le posizioni così rigide, cui vanno aggiunte quelle del Pd, che punta a radicarsi sul territorio con un manager della propria area e ad allargare l’alleanza a sinistra in vista delle prossime elezioni regionali.
Conte, riferiscono fonti accreditate, sarebbe sull’orlo di una crisi di nervi, anche perché cosciente che il futuro commissario, semmai ci sarà, dovrà passare dal vaglio della rete, nel senso che dovrà uscire indenne dalla radiografia del web e, può essere, dall’attacco mediatico che per esempio ha travolto il prescelto dal ministro Roberto Speranza, Giuseppe Zuccatelli, portato a dimettersi.
La “carta” Miozzo esce dal mazzo mentre un gruppo di deputati giallo-rossi festeggia l’approvazione, alla Camera, di un emendamento al nuovo decreto Calabria che, recita una nota congiunta: “prevede esplicitamente lo sblocco delle assunzioni nelle strutture sanitarie”; “concede ai commissari di Aziende sanitarie e ospedaliere il termine perentorio di 90 giorni per l’approvazione di bilanci e atti aziendali”; contempla “un diretto coinvolgimento dei sindaci calabresi e delle organizzazioni sindacali territoriali nelle azioni che la struttura commissariale metterà in campo per far fronte all’emergenza sanitaria in corso”.
Di fronte a questo sforzo della maggioranza parlamentare, di ecumenismo e condivisione di responsabilità, non devono sfuggire quattro elementi.
Il primo: le scuse – come se finora fosse stato “antàni” – del ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, che con riferimento ai precedenti commissari governativi dimissionari o rinunciatari, cioè Cotticelli, Zuccatelli e Gaudio, ha confessato: “Anche noi come Governo abbiamo commesso degli errori in queste nomine, ma questa volta non possiamo sbagliare ed ecco perché sono in corso le ultime verifiche, gli ultimi approfondimenti perché questa volta deve essere il nome definitivo”. Come dire, in dialetto calabrese, “cia’ potimu fa’”: “ce la possiamo fare”.
Il secondo: l’ironia divertita prevale anche davanti all’aumento dei morti per Covid nella regione Calabria, all’ennesimo addio al territorio di un primario, Cosimo Lequaglie, che per fattori ambientali ha mollato la direzione della Chirurgia toracica dell’ospedale di Cosenza. Nel silenzio imperturbabile della politica calabrese, stessa scelta aveva compiuto il suo collega Giuseppe Brisinda, primo chirurgo nel presidio ospedaliero di Crotone. Due medici di livello. A 24Mattino Miozzo ha riferito d’aver già sondato la disponibilità della moglie a trasferirsi a Catanzaro, sede della struttura commissariale per la Sanità calabrese. La signora gli avrebbe risposto: “Non ti permettere di dire che ho qualcosa contro la Calabria”. E giù risate, specie sui social.
Il terzo: le recenti dichiarazioni d’istinto del ministro Francesco Boccia, secondo cui “la sanità in Calabria non è che si sia fermata”. Certo; infatti, la commissaria dell’Asp di Cosenza, Cinzia Bettelini, ha trovato il tempo per deliberare lo scorso 24 novembre l’affidamento della direzione del dipartimento tecnico-amministrativo aziendale, a seguito di avviso interno pubblicato 5 giorni prima, all’unico candidato alla selezione. Nel mentre si è perduto il tracciamento, sull’attendibilità dei dati persiste un’aspra polemica e i tamponi vengono processati con fatica, perfino a Bari. Intanto i casi attivi nel Cosentino sono 3.420 e se soltanto il 10% necessitasse di ricovero ospedaliero sarebbe il tilt. Se non bastasse, sulla rete ospedaliera Covid è bufera politica e ancora circolano note del delegato regionale, il dirigente Antonio Belcastro, malgrado debba essere il commissario alla Sanità, mancante come il ragionier Patò di Camilleri, a sbrigare la pratica insieme ai vertici delle aziende del Ssr, peraltro scaduti.
Il quarto: a nulla è valso il monito, in commissione Affari sociali, del professor Ettore Jorio, docente di Diritto della sanità nell’Università della Calabria, che sentito sul testo del (nuovo) decreto Calabria aveva avvertito: “Poche e inadeguate le risorse rese disponibili di 180 milioni, sono appena sufficienti a coprire il disavanzo annuale residuale del Ssr per i tre anni a venire, ovviamente al netto del prelievo della fiscalità regionale, che giova ripetere è oltre il massimo dei livelli previsti”. Si tratta delle stesse risorse, si legge nel Dl in questione, “subordinate al raggiungimento di apposita intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano”, la cui erogazione è “condizionata alla presentazione e approvazione del programma operativo di prosecuzione del Piano di rientro per il periodo 2022-2023 e alla sottoscrizione di uno specifico Accordo tra lo Stato e le Regioni”. Insomma, al netto del giubilo dei deputati giallorossi per l’emendamento sblocca-assunzioni, prima di reclutare il nuovo personale ci vorranno mesi (di pandemia corrente e stress delle strutture sanitarie della Calabria).
Se Conte è stretto in una morsa tremenda, forse la più dura dell’intera esperienza di governo, il centrodestra pensa ad altro: vuole le dimissioni di Morra da presidente della bicamerale Antimafia per le sue parole nei confronti della presidente della Calabria, Jole Santelli, prematuramente scomparsa. Di fronte a una tale crisi, nella Prima Repubblica l’opposizione avrebbe ottenuto la caduta dell’esecutivo. Ma siamo nell’era virtuale, dello spostamento degli obiettivi e, con buona pace di Schopenhauer, della volontà di apparenza.
Leonardo Sciascia scriveva “La Sicilia come metafora”. Oggi la Calabria è metafora dell’Italia, di una deriva spaventosa che non è vista, compresa né risolta.