Spett.le Direttore Raimondi,
scrivo la presente, di cui chiedo gentile pubblicazione, come replica all’intervista all’Ambasciatrice della Repubblica di Armenia in Italia, da voi pubblicata il 16 settembre.

Mi sarei molto sorpreso se l’intervista dell’ambasciatrice non fosse stata colma di lamentele, accuse, falsità, e distorsioni, poiché lei, come da abitudine sua e della parte armena in generale, pensa che il mondo intero debba credere ciecamente alla loro narrazione e debba dunque appoggiare l’Armenia in qualsiasi situazione, anche quando è essa stessa, con la sua leadership, la causa dei suoi problemi. È evidente che questi pochi anni della sua prima carica diplomatica all’estero non siano stati sufficienti all’ambasciatrice per adeguare il suo modus operandi e i suoi toni all’etichetta diplomatica. Ma questa volta ha veramente esagerato, permettendosi di criticare aspramente la comunità internazionale, le istituzioni europee e la stampa indipendente, accusandoli della mancanza di sostegno agli attacchi militari del suo paese contro l’Azerbaigian. Ma in effetti, è impossibile aspettarsi un comportamento diverso dal rappresentante di un paese che per tre decenni ha tenuto le terre dell’Azerbaigian sotto occupazione militare, commettendo una pulizia etnica contro un milione di azerbaigiani e radendo al suolo tutti i territori occupati.



All’ambasciatrice, rappresentante di un paese “democratico” solo nella sua immaginazione, evidentemente non sembra che sarebbe stato opportuno dimostrare almeno un livello minimo di tolleranza verso opinioni diverse dalle sue. Sono assai ridicole le fiabe sulla “democrazia in Armenia”, quando molti analisti indipendenti dello stesso paese ne evidenziano la disastrosa situazione, con tutti i poteri usurpati dal primo ministro e un continuo esodo di cittadini armeni verso altri paesi a causa della instabilità politica e delle profonde difficoltà economiche e sociali. Mi limito a ricordare alla mia collega soltanto l’episodio relativo all’ex presidente armeno, che è fuggito dal paese e si è dimesso solo qualche settimana dopo che la stessa ambasciatrice ne aveva organizzato una visita in Italia, motivando le sue dimissione con la mancanza di poteri per svolgere il suo mandato, essendo stati, quegli stessi poteri, usurpati dal primo ministro. Da 30 anni di indipendenza, l’Armenia non è potuto diventare un paese indipendente e viene considerato uno stato fallimentare, e il principale motivo di ciò è dato dalla politica ostile nei confronti dei suoi vicini.



Nient’altro che un sentimento di invidia da parte dell’ambasciatrice è alla base dei deliri della stessa in relazione al mio paese, insieme al fatto, evidentemente, di non poter digerire che, grazie alla politica lungimirante del Presidente Ilham Aliyev, l’Azerbaigian ha raggiunto importanti traguardi. Tali successi, così invisi all’ambasciatrice, riguardano la sfera politica, economica e sociale; l’Azerbaigian è divenuto leader nella regione, ha rafforzato la sua posizione nell’arena internazionale, e i progetti strategici, dal mio paese implementati, hanno cambiato il quadro geopolitico dell’intera regione, e le nostre terre sono state liberate da un’occupazione militare dolorosa e lacerante, causata proprio dalle forze armate del paese di cui l’ambasciatrice è portavoce. Come il nostro Presidente ha detto nel suo intervento all’ultimo Forum di Cernobbio, l’Azerbaigian è in grado di proteggersi dalle sfide e dai problemi esterni, perché internamente il nostro paese è ben integrato, la società è compatta e c’è unità in ciò che il governo intende fare e su come sviluppare il Paese.



Per quanto concerne le affermazioni dell’ambasciatrice sulla questione del Karabakh, vorrei evidenziare che tale problema ormai non esiste, dato che l’Azerbaigian, basandosi sulle risoluzioni dell’ONU, ha risolto questa problematica. Il Karabakh e tutti gli altri territori liberati sono territori storici dell’Azerbaigian e appartengono al nostro paese. La liberazione di questi territori era per noi anche una questione morale. Perché sono territori da cui l’Armenia ha espulso circa ottocentomila azerbaigiani, che aspettavano da tre decenni di tornare a visitare le tombe dei propri avi e di riviverci. Sono territori in cui l’Armenia ha cercato di cancellare durante l’occupazione tutte le tracce del popolo azerbaigiano e dove si trovano importanti espressioni del patrimonio storico e culturale dell’Azerbaigian, inclusa la città di Shusha, capitale culturale del nostro paese. La giustificazione fallimentare dell’ambasciatrice sul così detto “cuscinetto di sicurezza”, non è altro che il riconoscimento da parte della stessa della lunga aggressione militare del suo paese contro l’Azerbaigian.

Le farneticazioni dell’ambasciatrice sulle questioni energetiche rappresentano un’ennesima manifestazione del complesso di incompletezza e non meritano un particolare commento. Vorrei solo evidenziare che la situazione energetica non ha niente a che fare con la questione tra Armenia ed Azerbaigian. Il mio paese da lungo periodo è un partner affidabile per la fornitura di idrocarburi all’Europa e ciò è avvenuto anche durante i molti anni di occupazione dei nostri territori da parte dell’Armenia, quando nessuno ha costretto l’Armenia a ritirare le sue forze armate dai nostri territori.

Per quanto riguarda i racconti fantasiosi dell’ambasciatrice sugli eventi di questi giorni, vorrei far notare che all’origine di quanto accaduto risiede il fatto che l’Azerbaigian è stato vittima di un ennesimo attacco su larga scala da parte dell’Armenia al confine di stato tra i due paesi. Le forze armate dell’Azerbaigian hanno respinto risolutamente la provocazione armena. Questa provocazione è un duro colpo al processo di normalizzazione tra i due paesi. Tutta la responsabilità di ciò ricade sulla leadership politico-militare dell’Armenia, che ha proseguito, anche dopo la firma della Dichiarazione trilaterale del 2020, con rivendicazioni territoriali contro il mio paese e a posizionare mine sui territori dell’Azerbaigian, causando ennesime morti tra civili e militari. Non è casuale che le ultime provocazioni dell’Armenia siano accadute due settimane dopo la riunione di Bruxelles, in cui è stato raggiunto un accordo sull’avvio dei negoziati per la normalizzazione delle relazioni tra i due paesi. Non è un segreto per nessuno che l’obiettivo dell’Armenia con queste provocazioni sia stato l’ottenimento di un pretesto per sfuggire dai colloqui di pace, così come il coinvolgimento di terzi e l’ampliamento della geografia della tensione.

L’Azerbaigian, paese che ha sofferto per circa 30 anni di un’aggressione militare, e che oggi sta investendo enormemente in grandi opere di ricostruzione nei territori liberati, vuole la pace e ha presentato un’agenda di pace. Abbiamo più volte invitato la controparte alla firma di un trattato di pace basato su cinque principi di base, tra cui il riconoscimento reciproco della sovranità, dell’integrità territoriale, dell’inviolabilità dei confini internazionali, la delimitazione e demarcazione del confine di stato, l’apertura dei trasporti e delle comunicazioni. Ma l’Armenia ritarda il processo di normalizzazione, continua le sue aspirazioni revanscistiche, allo stesso tempo, presentandosi nuovamente come una vittima, cerca di far cadere la comunità internazionale nel tranello della sua disinformazione. Il mio ringraziamento va alla stampa, che in questi giorni ha assunto posizioni obiettive, raccontando i fatti così come avvenuti, e agli esponenti del mondo politico italiano, che non hanno creduto alla propaganda armena e hanno assunto una posizione obiettiva, anche invitando l’Azerbaigian e l’Armenia a negoziati per una pronta firma del trattato di pace.

Invito la mia collega ad agire in modo più professionale nelle sue prossime interviste, non tediando il pubblico italiano con la disinformazione e concentrandosi non sulla fomentazione della guerra, ma sull’agenda di pace tra i nostri paesi.

Cordiali saluti

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