Hanno arrestato “Pasha Mercedes”, alias il metropolita della Chiesa russa ortodossa di Chernobyl, Pavel Lebid. È vicario dello storico monastero delle Grotte, che si trova a Kiev, culla dell’ortodossia sia russa che ucraina. Sempre a Kiev c’è il metropolita Onofryi della Chiesa russa ortodossa locale. C’è poi un altro metropolita, Epifany, che è stato proclamato tale da un concistoro ucraino che così ha “consacrato” la separazione dal Patriarcato di Mosca.
Insomma, come abbiamo già detto, la tradizionale complessa situazione dei cristiani dell’Ucraina si è arricchita di nuove divisioni. In più ora l’autorità civile ha deciso di chiamare in giudizio il vecchio metropolita, accusato di incitamento all’odio interreligioso e di giustificazione dell’aggressione russa ai danni dell’Ucraina. In un primo momento le fonti giornalistiche occidentali accreditavano anche la notizia di un’accusa di spionaggio, di cui, pare, ora non si parla.
D’altra parte la vicenda di questa specie di Rasputin in abiti griffati (così è presentato dalla nostra stampa) ripropone una questione di fondo che ci si ostina ad ignorare per amore di parte. È un dato di fatto che in Ucraina ci sono uomini, non solo Pavel, che sono dalla parte della Russia. O meglio che sono convinti che non ci deve essere distinzione tra Russia e Ucraina, che i due popoli in verità sono uno, perché una, dicono, è la loro storia, la loro tradizione spirituale. Altri concordano, più o meno, con la storia del passato, compresa la comune lotta contro l’invasore tedesco (e italiano) della seconda guerra mondiale, ma sottolineano gli elementi di una identità nazionale, ora sostenuta anche da differenti visioni del quadro politico internazionale.
Il problema è che in questo momento la disputa non sta avvenendo tra le aule di un’accademia ecclesiastica, ma su un campo di battaglia, con tutto quello di cui tutti siamo testimoni e, almeno in parte, protagonisti. Certo a quel mondo laicista che da sempre ritiene che la religione sia “l’oppio dei popoli” fa gioco presentare le divisioni nel campo religioso come l’ennesima prova che la fede non ha nessuna utilità nella ricerca della pace.
Anzi è già tanto che, almeno per ora, non si sia arrivati a dire che la guerra in Ucraina è una guerra di religione. L’evidenza di interessi strategici ed economici, enormi a livello internazionale, renderebbero ridicola un’affermazione del genere. Ma è pure un dato di fatto che nella attuale situazione l’esperienza cristiana, sottoposta al condizionamento del nazionalismo, in qualche modo insito nella realtà di chiese nazionali, subisce una grave prova. E i fedeli non vanno più in chiesa. In quale chiesa? E quelli ancora un po’ religiosi, magari diventati religiosi dopo tanti anni di ateismo di Stato, al massimo continuano a pregare in casa, ciascuno per conto suo. Come tanti di noi.
Una volta tanto potremmo forse dire che questa situazione non è colpa nostra, di noi cattolici. Eppure anche noi qualche divisione, sotto sotto, ce l’abbiamo. Ma questo, il non sentirci toccati, sarebbe un peccato, un peccato di omissione. Non possiamo non condividere con loro il dolore per questa situazione.
Stamattina “I had a dream” (ho fatto un sogno). Il papa metteva a disposizione il Vaticano per un incontro, non di wrestling, ma di riconciliazione tra le diverse chiese dell’Ucraina. Ospitante, non arbitro, ma comunque consapevole della sua vocazione di pastore universale. Lo so: direte, giustamente, che qualche volta mi perdo nei miei sogni, ma qualcosa di simile sarebbe proprio impossibile?
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