Come purtroppo avevamo anticipato, anche la Colombia si è aggregata ai Paesi latinoamericani in fiamme: lo sciopero generale contro il Governo di Ivan Duque Marquez è stato la miccia che ha acceso il fuoco in di una nazione che di problemi in un recente passato ne ha avuti tantissimi, soprattutto per il conosciuto dominio dei cartelli del narcotraffico nel Paese, che alla fine ha trovato una soluzione, anche attraverso l’abbandono, in un primo momento, della guerriglia da parte delle Farc, le forze armate rivoluzionarie (longa manus dei narcotrafficanti), per costituirsi in un gruppo politico. Ma la cosa non è durata molto e una scissione interna ha portato parte dell’organizzazione a riprendere le armi, questa volta su larga scala e con accordi con il vicino regime dittatoriale venezuelano per estendere la guerriglia anche ad altri paesi, visto che guerriglieri di questa formazione sono stati arrestati durante le manifestazioni che hanno sconvolto sia la Bolivia che il Cile.



In quest’ultimo Paese venerdì c’è stata un’altra gigantesca manifestazione che, questa volta, nella sua impronta pacifica, ha avuto come leitmotiv il laser: la maggior parte delle persone si è recata nelle piazze con una torcia di quel modello, riflettendone la luce sulle facciate degli edifici, creando anche un effetto scenico davvero notevole e originale. Ma più in là di ragioni scenografiche, l’uso del laser è dovuto al fatto che è un grado di neutralizzare i droni che generalmente sorvolano le aree dei raduni per rilevare immagini atte a identificarne i partecipanti. Il brutto è che però le stesse torce sono in grado di provocare seri problemi pure a elicotteri e aerei: difatti si sono evitati incidenti gravissimi solo per l’abilità dei piloti.



Il Cile costituisce un esempio sul quale conviene concentrarsi per capire un po’ il resto delle problematiche latinoamericane attuali: viene considerato da anni una specie di Svizzera del Sudamerica non solo per aver diminuito l’indice di povertà, che 20 anni fa era quasi del 40%, all’8%, ma anche perché è stato in grado di costruire un modello basato non solo su di un grande rispetto della democrazia, ma pure su di un’economia che, seppur apertissima, non vive di sole commodities, ma ha anche aperto un’industria di derivati non trascurabile, in modo che, quando il vento delle situazioni favorevoli muta di direzione, il Paese non entri in crisi. Da quando il dittatore Pinochet ha abbandonato il potere si sono succeduti Governi di segno politico diverso ma tutti basati su di una costante importantissima: il dialogo e, soprattutto, dei piani statali convenuti tra le parti e che sono stati in gran parte rispettati da chi detiene il potere.



La domanda ovvia, mio caro lettore, a questo punto è come mai allora un Paese così organizzato sia esploso come sta accadendo da circa un mese: la risposta può sintetizzarsi in due argomenti strettamente collegati tra loro. In primis c’è da considerare che il boom cileno è stato, alla fine, una manna su cui, nonostante i numeri sulla povertà, ci hanno messo le mani in pochi. Difatti il 2% del Pil Cileno viene sfruttato dal 50% della popolazione… il resto dall’altra metà. Quella che può permettersi ospedali e scuole private a carissimo prezzo, mentre chi si deve rivolgere alle strutture dello Stato ha a disposizione entità carenti sotto tutti i punti di vista. Oltretutto con salari e pensioni che sono bassi. A questo bisogna aggiungere come le generazioni più giovani soffrano costantemente questa problematica che, nella pratica, le vede senza un futuro degno.

L’aumento dei prezzi dei biglietti dei mezzi pubblici è stata la miccia che ha fatto esplodere tutto e le violenze che si sono sviluppate nel corso di manifestazioni pacifiche hanno provocato la reazione delle forze dell’ordine e poi il gravissimo errore del ritorno del coprifuoco, triste parentesi che ai più ha fatto tornare in mente gli anni della dittatura.

Da qui la visione distorta dagli occhiali modello “anni Settanta” che in molti, pure in Italia, hanno indossato senza capire minimamente la situazione e ponendo Piñera (un Presidente regolarmente eletto) sullo stesso piano di un Pinochet qualsiasi, facendone il capro espiatorio di un Paese ridotto alla fame dal potere dell’imperialismo, ecc.

Lo ribadiamo: l’attuale Presidente ha forzato troppo la mano in un interventismo repressore ingiustificabile, ma anche come reazione a violenze di gruppi organizzati che hanno messo fuori uso o se preferite incendiato quasi tutte le stazioni della metropolitana di Santiago, edifici, supermercati e Chiese. L’opinione pubblica lo ha duramente criticato e l’effetto di ciò si è visto nella gigantesca manifestazione, con oltre un milione di partecipanti, di due settimane fa, che ha provocato quello che il fuoco e la violenza non erano stati capaci: non solo le dimissioni dei Ministri del suo Governo, ma pure la promessa (mantenuta) di una nuova Costituzione e un progetto di aumento delle tasse alle classi alte per poi ridistribuire il ricavato in un miglioramento del sociale.

Da segnalare che martedì scorso nella città di Antofagasta si sono verificate violenze che hanno fatto crollare vari edifici tra i quali uno di grande importanza storica, con le forze dell’ordine che nulla hanno potuto fare per risolvere la situazione e un’opinione pubblica che ha invocato misure più repressive.

Insomma, un uso normale della forza per reprimere una violenza che è parte, lo ripetiamo, di gruppi e non di masse di gente che convogliano la protesta nella democrazia più assoluta: quel valore che i cileni non vogliono perdere (memori della loro storia) e che, siamo sicuri, veglieranno affinché le loro giustissime richieste vengano esaudite al più presto. Questo Piñera lo sa benissimo: ha già commesso errori gravissimi e non ha più spazio (per fortuna) per combinarne altri.