Le proteste che sono scoppiate in Cile hanno sorpreso il mondo intero: era difatti dai tragici anni della dittatura di Pinochet che il Paese latinoamericano non soffriva una crisi del genere: anzi, il suo sviluppo dopo quella triste notte è stato preso come esempio da molte nazioni di una rinascita dovuta non solo al fattore economico, ma anche a una stabilità politica invidiabile, con un’alternanza di poteri che, anche quando ideologicamente all’opposto, hanno sempre trovato nel massimo dialogo la risorsa per proseguire con un compimento di piani di Stato sempre rispettati dai vari contendenti.



C’è da dire che, anche se la floridissima industria della pesca è entrata in crisi da un paio d’anni a causa di un virus che ha colpito gli allevamenti di salmone di cui il Cile è uno dei massimi produttori mondiali, una delle principali risorse minerarie del Paese, il rame, dopo un’iniziale crisi dovuta al calo dei prezzi sui mercati mondiali a causa dell’utilizzo di surrogati artificiali, si è prontamente ripreso con lo sviluppo delle comunicazioni cellulari che rendono questo materiale insostituibile.



Ricordo che proprio negli anni ’80 l’improvviso aumento dei prezzi dei mezzi pubblici in Cile aveva scatenato una protesta che però si sviluppò in uno straordinario sciopero degli utenti, che per oltre una settimana si rifiutarono di usarli, provocando l’immediata revoca del provvedimento. La settimana scorsa proprio l’aumento dei biglietti del metro da 800 a 830 pesos (in pratica un euro) ha provocato una reazione fatta di violente proteste che, dapprima ristrette alla sola Santiago, si sono rapidamente estese in tutto il Cile costringendo il Presidente Miguel Sebastián Piñera  a ordinare l’intervento dei Carabineros con mezzi d’assalto e l’istituzione del coprifuoco. Gli incidenti che hanno avuto per protagonisti movimenti sociali non solo hanno distrutto diverse stazioni della metropolitana, ma anche appiccato incendi a edifici sede di multinazionali, tra i quali quello dell’italiana Enel. Con un bilancio, finora, di 10 morti.



Nonostante i numeri della macroeconomia siano ancora estremamente positivi, in Cile, al contrario che in altri Paesi, lo Stato ha una presenza minima nel sociale ed è l’esatto opposto del Babbo Natale argentino, tanto per fare un esempio. I servizi sono ridotti al minimo così come i salari sono spesso insufficienti per poter arrivare a fine mese: insomma, si è stabilita una diseguaglianza sociale che, specie sotto la Presidenza del liberale Piñera, ha di fatto emarginato le classi meno abbienti ma specialmente i giovani. A parte le tariffe dei mezzi di trasporto, della benzina, dei medicinali e dell’elettricità, che hanno raggiunto alti livelli, la società cilena beneficia moltissimo le classi più abbienti, mettendo al margine quelle più povere, anche nel diritto allo studio: l’università è privatizzata e il suo accesso comporta spese notevoli che nella pratica ne impediscono l’accesso ai meno abbienti.

La molla che ha fatto scoppiare gli incidenti risiede in questo, dato che la pessima distribuzione della ricchezza del Paese ha con il tempo estremamente debilitato specie la classe medio-bassa, pur se l’indice di povertà del Cile rimane a un invidiabilissimo (da altri Paesi) 8,6%. Già nella giornata di domenica Piñera ha di colpo annullato l’aumento dei biglietti dei mezzi di trasporto, ma, oltre ad aver esagerato con le misure di sicurezza prese (specie il coprifuoco e il dichiarato stato di guerra che a tantissimi nel mondo ha ricordato l’epoca della dittatura degli anni ’70) questa manovra dovrà essere seguita da altre che permettano di estendere i benefici di un miracolo che dura da decenni all’intera popolazione, aumentando la presenza dello Stato sia nel settore dell’Istruzione che la Salute e mettendo un doveroso freno alle tariffe in modo da tornare a permettere una vita dignitosa a tutti gli abitanti di questo incantevole angolo del mondo.