Posti di blocco, perquisizioni in tutta la Cisgiordania, attacchi con i droni, condutture dell’acqua distrutte. E almeno 10 morti. La più grande operazione di Israele nella West Bank segue le orme, come tecniche usate e strategie, di quello che è stato fatto finora a Gaza. L’obiettivo, spiega Paola Caridi, saggista e presidente di Lettera 22, è di espellere quanto più possibile palestinesi. Con un problema non da poco da risolvere: questo esodo finirebbe per destabilizzare la Giordania. Insomma, una situazione pericolosissima, che ribadisce quanto la prospettiva di un cessate il fuoco sia lontana. Gli israeliani potrebbero fermarsi solo per un motivo: il rifiuto dell’Occidente di fornire loro altre armi.
Un attacco così esteso in Cisgiordania cosa significa: l’obiettivo di Israele è mandare via i palestinesi anche da lì?
Esiste una strategia che da Gaza viene implementata in Cisgiordania. Le pratiche sono simili a quelle della Striscia: da mesi gli israeliani usano droni per i loro raid, circondano gli ospedali, come succede a Gaza senza alcuna reazione da parte occidentale, e non solo: entrano negli ospedali stessi. Inoltre, distruggono strade, infrastrutture dell’acqua e dell’elettricità: vogliono costringere le persone ad andarsene. Lo ha detto anche il ministro degli Esteri Israel Katz: “Per combattere la guerra, come a Gaza, dobbiamo far evacuare le persone”. In Cisgiordania ci sono però 750-800mila coloni, cittadini israeliani che vivono in questi territori. Se i palestinesi devono lasciare le loro case, dove possono andare? Non è un luogo come Gaza, ma un territorio in cui le due popolazioni sono una accanto all’altra.
Cosa vogliono fare davvero gli israeliani?
La risposta sta nei campi profughi: quelli del nord della Cisgiordania sono anche il centro della resistenza, in cui ci sono le fazioni armate di Hamas, della Jihad islamica, di Fatah, così come gruppi armati che non rispondono alle fazioni politiche. Da una parte c’è la strategia israeliana di reprimere e, se si può, di cancellare le fazioni armate a Nablus, Jenin, Tulkarem, Qalqilya, ma dall’altra si prende di mira il campo profughi, perché rappresenta la questione palestinese. Questo raid è il più imponente dal 2002 e non si concentra solo nel nord, ma arriva fino a Betlemme.
Dobbiamo aspettarci che trattino la Cisgiordania come Gaza?
Pensano di distruggere anche la rete della vita civile, dal teatro di Jenin alle strade, alle condutture dell’acqua. A Gaza è in atto un massacro, ma l’ipotesi è che pure qui ci sia il tentativo di espellere quanti più palestinesi possibile in Giordania (che è la grande paura di Amman), mettendo in forte instabilità un Paese circondato da altre situazioni instabili come la Siria, il Libano, l’Iraq. Ma la Giordania è anche un hub dell’ONU, serve a tutti per muoversi nella regione. L’idea di spingere per la sua instabilità è forte nel governo israeliano, anche perché è il Paese custode dei Luoghi santi nella città vecchia di Gerusalemme. Insomma, questa storia può rappresentare un’escalation anche per la Giordania, dove, tra l’altro, il 10 settembre ci sono le elezioni politiche.
L’Occidente non risponderà neppure stavolta?
L’Occidente non esiste da molti anni. In questo quadro manca l’Autorità Nazionale Palestinese: Mahmoud Abbas era in Arabia Saudita e ha deciso di tornare, ma se i corpi di sicurezza dell’ANP, accusati di collaborazionismo con le truppe israeliane dalla popolazione, reagissero, salterebbe la Cisgiordania, sarebbe guerra aperta fra forze armate israeliane e Autorità Palestinese. È un terreno molto pericoloso. L’idea dei coloni e dei loro rappresentanti politici, come Smotrich e Ben Gvir, ma anche di rappresentanti dell’opposizione come Bennett, ex premier colono lui stesso, è di espellere quanti più palestinesi possibile per avere a che fare con un numero più basso di loro, usandoli come manovalanza per lavorare la terra.
Questa operazione che prospettive indica per la guerra?
Non ci sono prospettive: proporre, come fa Ben Gvir, di realizzare una sinagoga sulla Spianata delle Moschee vuol dire rompere lo status quo che perfino suoi predecessori come Yitzhak Rabin e Moshe Dayan avevano deciso di conservare. Pregare sulla Spianata è proibito per gli ebrei: se ci vanno, fanno saltare la politica di Israele dal 1967, quella di lasciare le cose così come sono nella città vecchia. Anche se i coloni continuano a comprare, espropriando i palestinesi e per ultimi gli armeni: anche gli armeni stanno resistendo ai coloni che vogliono prendersi le loro case.
Uno scenario che toglie ogni illusione su un possibile cessate il fuoco?
L’accordo non lo vogliono, non ci sarà nessun cessate il fuoco. E la responsabilità è tutta nostra. Ci vorrebbe pochissimo da parte di USA e UE: lo ha fatto Bush padre, basta chiudere i rubinetti, non mandare più armi.
(Paolo Rossetti)
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