Prima serrata, e prima guerra delle percentuali. Le due ore di differimento all’apertura degli ombrelloni – che è stata la protesta decisa dai balneari per rimarcare l’inedia del Governo nel tracciare le linee guida omogenee per le gare che i Comuni devono adottare per affidare le concessioni, in ossequio alla direttiva europea (la Bolkestein) e alle sentenze del Consiglio di Stato – hanno generato il tradizionale balletto di numeri tra le associazioni di rappresentanza (Sib Confcommercio e Fiba Confesercenti) che avevano indetto l’iniziativa (e parlano di un successo al 70-80%) e gli imprenditori balneari che non vi hanno aderito. E sono tanti. Per non dire delle associazioni dei consumatori, come il Codacons, che parla di “flop”, o come l’Unione nazionale consumatori, che archivia la serrata come una “sceneggiata a tarallucci e vino”.



Si sa che la protesta è riuscita in Sardegna, dove in certi lidi è durata anche due ore oltre il previsto, o in Liguria. Al contrario, in Calabria sembra abbia riscontrato ben poche adesioni. A Rimini gli imprenditori hanno sensibilizzato i clienti a suon di brindisi, mentre il Veneto s’è diviso a metà: ombrelloni chiusi a Sottomarina e Rosolina, aperti nelle altre località, dove peraltro le gare sono già state espletate da tempo, grazie a una legge regionale ad hoc. Ma in generale, lungo le coste italiane la serrata è stata a macchia di leopardo. Intanto, le altre due giornate di serrata previsti (19 e 29 agosto) sono state sospese, anche perché il Governo ha promesso di prendere in mano il dossier-balneari in uno dei prossimi Consigli dei ministri, dopo la pausa di Ferragosto. E Fiba sembra contarci: “Crediamo assolutamente che agli impegni che il Governo ha preso darà seguito come annunciato” ha detto il presidente Maurizio Rustignoli.



Ma come pensa di affrontare prima o poi l’annosa, eterna questione il Governo? Lo ha anticipato Il Sole 24 Ore, pubblicando la traccia del nuovo piano che l’Italia ha intenzione di sottoporre alla Commissione europea. Una bozza che prevede un “meccanismo articolato di date, tra procedure di gara e nuove proroghe. Nel caso minimo le concessioni in corso resterebbero valide fino al 31 dicembre 2025, nel caso estremo fino al 31 dicembre 2029”. Sostanzialmente, dunque, sembra trattarsi, ancora una volta, di proroghe, un’aberrazione tutta italiana (abbiamo saputo varare perfino un decreto legge chiamato Milleproroghe) che nel caso delle concessioni demaniali sugli arenili sta andando avanti da decenni.



Adesso, con una procedura di infrazione europea che ci pende sul capo, secondo il Governo le concessioni in essere hanno efficacia fino al 31 dicembre 2024 oppure fino al termine del 2025, nel caso si ravvedano ragioni oggettive che impediscono la conclusione delle gare. La bozza prevede anche un possibile aumento dei canoni concessori nell’ordine del 10%, e stabilisce i criteri per far partire le gare, pur disponendo una prima proroga secca, fino al 31 dicembre 2025. E facendo leva sulla famosa mappatura delle coste (integrata con i dati richiesti dall’Ue), il Governo dovrebbe stabilire entro il prossimo 30 aprile 2025 la esatta entità delle proroghe regione per regione. Vuol dire che nelle regioni in cui la percentuale di superficie ancora concedibile è inferiore al 25%, le concessioni in essere sarebbero prorogate “solo” fino al 31 dicembre 2027, mentre in quelle dove la quantità di spiagge libere è esigua, la proroga si allungherebbe addirittura fino al 31 dicembre 2029. Solo a queste scadenze le vecchie concessioni sarebbero messe a gara. Si vorrebbe insistere, insomma, con l’Ue sulla tesi che laddove non c’è “scarsità della risorsa naturale” (dove, sintetizzando, c’è una chiara prevalenza di spiagge già disponibili per nuovi potenziali concessionari) le attuali concessioni si possono ancora allungare per un periodo più lungo. Gli enti locali potrebbero nel frattempo mettere a gara i tratti di spiaggia libera.

La strada è stretta, strettissima: l’Ue già aveva evidenziato che le osservazioni di Roma non modificavano la linea rigida adottata a livello comunitario. Adesso si starebbe in stallo, con Roma in attesa di un parere informale della Commissione sul nuovo testo che, nel caso in cui imprevedibile apertura, sarebbe inserito nel decreto salva-infrazioni.

Ancora da dirimere, infine, la prelazione e gli indennizzi. Il piano del Governo prevede la prima per i concessionari uscenti, agevolati anche dai criteri per stilare la graduatoria, che determinano un punteggio premiale per gli attuali stabilimenti, con la considerazione per l’esperienza tecnica e professionale già acquisita; l’aver utilizzato, nei cinque anni precedenti, la concessione come prevalente fonte di reddito; il numero dei lavoratori del concessionario uscente che ciascun offerente si impegna ad assumere. Nel caso, poi, di gare aggiudicate da nuovi gestori, i vecchi titolari avrebbero diritto a un indennizzo, da determinare con perizie che valutino il valore degli investimenti sostenuti e i beni materiali e immateriali impiegati nell’attività.

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