Le terribili notizie che giungono dal Congo, l’assassinio drammatico dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo, riportano la nostra attenzione all’Africa, quella vera, l’enorme continente a sud del Sahara, che scoppia di ricchezze, di miserie e di popoli sempre più vicini a noi.
Tre sono le domande sul tappeto. Quali siano i motivi della terribile instabilità dell’Africa, se la comunità internazionale debba intervenire e, in ultimo, come e con quali strumenti.
La risposta alla prima domanda, quella fondamentale, fornisce le linee direttive per le successive. La radice dei problemi sta ovviamente nelle enormi responsabilità storiche degli europei, nel colonialismo, a partire dalle stragi avvenute proprio in Congo da parte di quel re Leopoldo II del Belgio che fecero scandalo anche ai suoi tempi. Questa è la genesi del dramma.
Poi, si potrebbero sottolineare le responsabilità delle due superpotenze ai tempi della guerra fredda, o adesso rimandare alla volontà di appropriazione senza scrupoli di quelle materie prime di cui l’Africa è ricca per di più a costi estrattivi ridicoli.
Ma non basta. Il vero nocciolo del problema sta non solo nel peccato originale, ma nei modi in cui la decolonizzazione è avvenuta. Forse non era possibile altrimenti. Si inizia con la definizione dei confini che mettono insieme territori, tribù, etnie e popoli completamente diversi, separando magari gli stessi in Stati differenti, creando così i presupposti delle tensioni che poi a liberazione avvenuta sarebbero scoppiate.
Ma la cosa grave, e ineluttabile, è che a mancare completamente è quella creazione che noi occidentali siamo abituati ormai a pensare normale, lo Stato-nazione. Artificio storico invece, per noi naturale, esportato in tutto il mondo.
Il riconoscimento internazionale della sovranità arriva in Africa cronologicamente prima che le istituzioni del moderno Stato nazionale fossero create e si stabilizzassero. Il principio di autodeterminazione dei popoli finalmente aveva trionfato, ma si era nel frattempo completamente separato dalla possibilità di funzionamento concreto delle nuove comunità indipendenti. In pratica a mancare erano proprio le quattro norme fondamentali rilevanti a stabilire la personalità giuridica internazionale degli Stati, principi fissati dalla convenzione di Montevideo del 1933. Una popolazione permanente, un territorio definito, un potere di governo esclusivo, la capacità di intrattenere rapporti con altri Stati. Inoltre, il primo paragrafo del terzo articolo dichiarava esplicitamente che ”L’esistenza politica di uno Stato è indipendente dal riconoscimento degli altri Stati”. L’esistenza funzionante precede, viene prima quindi, del riconoscimento da parte della comunità internazionale. A mancare durante la decolonizzazione furono proprio i presupposti su cui si doveva fondare la sovranità. I quasi-Stati africani divennero proprietà privata di chi riusciva ad appropriarsene, suggello di una concezione predatoria delle istituzioni.
In Europa per formare le istituzioni dello Stato ci abbiamo impiegato un lasso di tempo che va per lo meno dalla fine del Medioevo a Napoleone. E il sistema degli Stati ha fatto sì che tutte le comunità si dovessero adattare a quella modalità, pena la loro scomparsa. Poi il processo è continuato fase dopo fase, stato di diritto liberale, nazionalismo, nazionalizzazione delle masse, stato sociale, unioni internazionali, fino ad arrivare ad oggi. È stato un percorso lunghissimo, dove la guerra ha segnato ogni capitolo, strada costellata da milioni di morti, da guerre mondiali iniziate per lo meno da quel conflitto internazionale e civile, vero spartiacque tra vecchio e nuovo, che fu la guerra dei Trent’anni terminata con la pace di Vestfalia (1648). Trattato che sancisce allo stesso tempo il principio di sovranità degli Stati e la libertà religiosa individuale all’interno degli stessi. Organizzazione del sistema degli Stati europei, Stato nazionale e elaborazione dei concetti necessari avvengono quindi nel crogiolo sì del conflitto violento, ma all’interno di un’unità culturale complessa e articolata, il cristianesimo, la tradizione imperiale romana, il pensiero filosofico giuridico medievale e rinascimentale.
Su queste fondamenta portentose si costruisce lo Stato, con queste basi avviene l’accentramento del potere, che arriva al monopolio nell’esercizio della forza per assicurare la sicurezza interna ed esterna. Le differenziazioni delle funzioni sono una conseguenza necessaria e la metafora della macchina a spiegare il funzionamento dello Stato è appropriata. Sistema di tassazione, forze armate, polizia, burocrazia, magistratura, sistema scolastico sono gli elementi in cui si articola il potere assoluto del sovrano. Alla sua ombra cresce la società civile, si sviluppano i commerci e l’industria, si afferma la borghesia che si scontrerà violentemente, ma ben dopo, con la camicia di forza dell’assolutismo, ma appunto a Stato formato!
L’identità nazionale, l’idea che un singolo popolo appartenga ad una stessa comunità, si innesta su questo tronco, cresce e si sviluppa in parallelo. Quando avverrà la nazionalizzazione delle masse tra la fine dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale, grande sarà la differenza tra nuovi Stati ancora incerti nelle loro istituzioni, come Italia e Germania, che infatti scelsero la strada della dittatura, e Stati di più solida e antica tradizione, come Inghilterra e Francia, che riuscirono nell’impresa di tenuta democratica e allargamento del consenso. E qui si dimostra come la velocità nei processi sociali sia rischiosa.
Il resto è storia conosciuta, è storia nostra anche di noi italiani.
Tornando all’Africa. A differenza di quanto avvenuto nel vecchio continente, i conflitti attuali avvengono in un sistema internazionale di Stati che riconosce e tutela ferreamente l’inviolabilità della sovranità (con alti e bassi, e non sempre, ma nelle cose umane non esistono regole inviolabili). Le guerre mondiali africane, anche quella del Congo, avvengono inoltre nel bel mezzo della globalizzazione, dove l’economia è integrata a livello internazionale, dove in quei paesi affluiscono soldi a valanga. Nonostante la guerra, le miniere infatti continuano a lavorare, e l’esportazione lecita si mischia e confonde con il contrabbando e i traffici criminali. E ormai le armi costano poco, si trovano da tutte le parti. Ecco quindi la guerra diventare per molte società un sistema di vita, perché assicura una forma di reddito, di sicurezza e anche, perché no?, di appartenenza e sicurezza. Al contrario, le infinite guerre europee avvenivano in un sistema chiuso e ad un certo punto dovevano cessare perché le risorse non erano infinite.
Non stupisce quindi che i conflitti in società senza Stato, in quasi Stato e in Stati falliti, diventino interminabili, cronici: nessuno ha interesse a fermarli e nessuno ha la forza di fermarli. I soldi invece continuano ad affluire in abbondanza. E nelle guerre moderne al di là dal nostro mare Mediterraneo, nessuno vince o perde, gli eserciti si sfasciano, trionfano le milizie, i signori della guerra, le gang organizzate, gli eserciti privati; scompare il confine tra criminalità comune organizzata e soldati regolari. Conflitti armati a bassa intensità in grado di causare però qualcosa come 6 milioni di morti diretti e indiretti!
Allora è chiara la responsabilità internazionale e dell’Europa in particolare. Abbiamo un dovere storico che spinge a farci carico di quel continente. Abbiamo un interesse geopolitico ed economico ovvio. E se non lo facciamo noi, ecco la Cina ben disposta a togliere il debito in cambio del cobalto, con già la proprietà del 40-50% delle miniere. E pochissimo interessata alla pace interna e ai diritti umani.
Dobbiamo però essere consapevoli che non esistono interventi di peace keeping senza determinazione militare, e che l’impegno a costruire istituzioni statali solide richiede tempo e pazienza.
Speriamo che presto si possa avverare il sogno di Lumumba.
Che le rive dei vasti fiumi che portano verso l’ avvenire
le loro onde vive siano tue!
Che tutta la terra e tutte le tue ricchezze siano tue!
Che il caldo sole di mezzogiorno bruci le tue pene.
Si asciughino ai raggi del sole le lacrime che il tuo avo versò
tormentato in queste lande luttuose!
Il nostro popolo, libero e felice vivrà e trionferà nel nostro Congo.
Qui, nel cuore della Grande Africa!