Proclamato lo stato d’assedio nelle province congolesi del Nord Kivu e dell’Ituri, dove sono stati uccisi il nostro ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Iacovacci e l’autista Milambo. Stato d’assedio che non era mai stato proclamato prima: la motivazione ufficiale parla di tentativo di fermare una volta per tutte la situazione ormai fuori controllo delle bande armate che scorrazzano nel territorio e bloccare l’infiltrazione dei gruppi islamisti. Sospese tutte le libertà civili e i diritti dei cittadini nell’intento di fare una lotta totale e definitiva contro i gruppi armati: “È uno stato d’assedio che durerà solo trenta giorni” ci ha detto in questa intervista l’esperto di terrorismo Stefano Piazza, “un periodo che non potrà certo bastare allo scopo che si è prefisso il governo del Congo. Potrà al massimo servire per cercare di aprire un dialogo. Una decisione che però la dice lunga su come ormai in quel territorio il governo abbia perso ogni controllo della situazione”.



In diversi hanno criticato la decisione del governo congolese di proclamare lo stato d’assedio, affermando che si tratta solo di una operazione di facciata. Lei pensa che invece si potranno ottenere dei risultati?

Non è uno stato d’assedio a tempo indeterminato, durerà solo trenta giorni. Di solito, quando si prendono decisioni di questo tipo, è perché si è arrivati a un livello tale dove non si esercita più il controllo della situazione e si prova in questo modo a congelare la situazione stessa, prendendo tempo.



Cosa intende esattamente?

Non credo che questa decisione porterà a grandi risultati. Sappiamo bene che sono territori dove succede di tutto, la presenza di milizie criminali o terroristiche è diffusa, le frontiere sono tali solo sulla carta. È possibile che durante questo stato alcuni gruppi armati diano seguito a quella disponibilità che avevano mostrato, rendendosi disponibili a lasciare la lotta armata discutendone con il governo. Poi bisogna vedere il prezzo che esigerà tale decisione e soprattutto se si riuscirà a ottenerla. Una decisione, appunto, assunta per cercare di prendere tempo per vedere se si riesce a concludere qualcosa.



Il presidente del Congo Félix Tshisekedi si è recato nei giorni scorsi a Parigi per incontrare Macron. Un incontro che conferma il ruolo chiave che svolge la Francia in Africa occidentale?

Assolutamente sì, la Francia è un paese che non ha mai smesso con ogni presidente di fare politica estera. Ha una forte influenza in molti paesi africani e quindi l’incontro con Macron è una diretta conseguenza del rapporto che c’è con la Francia e alcuni paesi del continente. Non credo che il presidente del Congo abbia chiesto se dichiarare o meno lo stato d’assedio, però avrà chiesto un aiuto in termini di uomini, mezzi e consigli. La Francia c’è, la politica estera non si fa quando succede qualcosa, i francesi in questo sono molto bravi.

Invece ci sono state proteste della popolazione contro l’Onu, accusata di non svolgere a dovere il suo compito. Sono proteste giustificate?

Bisogna fare attenzione: le proteste contro l’Onu da parte di una parte della popolazione le abbiamo già viste. In effetti ci sono cose che non funzionano e anche scandali, ed è abbastanza facile attaccare l’Onu, ma se non ci fosse, centinaia di migliaia di persone non riuscirebbero ad avere di che mangiare. È chiaro che in alcuni casi queste proteste siano fomentate dai gruppi armati, che vorrebbero avere le mani libere. Che qualcosa non funzioni è cosa nota, ma se se ne va l’Onu cosa succede? Sarebbe peggio.

Tra i gruppi più pericolosi spicca l’Ad, messo di recente tra le organizzazioni terroristiche islamiche dal Dipartimento di Stato americano. A che punto è l’infiltrazione islamista in Congo?

La situazione in Congo, come in altri paesi, pensiamo al Mozambico o al Burkina Faso, è ormai a un livello di guardia altissima. Se non saranno messi correttivi urgenti, il post pandemia, quindi la mancanza di risorse anche economiche, non farà altro che aumentare il successo che questi gruppi hanno nei confronti dei giovani che vengono attratti da soldi e promesse di vita migliore. La situazione è drammatica, l’Isis ha deciso di investire in Africa, dove vorrebbero fondare una sorta di Isis 2 e il Mozambico è il paese preferito per questo scopo. Sono urgenti misure che riescano a impedire questo.

Ad esempio?

Non bisogna pensare solo ad azioni di polizia, bisogna pensare all’Africa come un continente dove sviluppare al massimo vere operazioni che aiutino la popolazione civile: l’Africa può essere una grande opportunità e non solo un pozzo da svuotare. Ci vogliono le condizioni che mutino la situazione, l’Europa deve puntare molto sul dialogo e sull’aiuto vero: non il semplice sostegno al dittatore di turno, altrimenti pagheremo tutti le conseguenze, perché in questi paesi non cambierà nulla.

(Paolo Vites)

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