Direttore di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale Luigi Sacco di Milano, il professor Emanuele Catena ha già avuto modo di esporci chiaramente la situazione che sta colpendo la Lombardia in questo momento drammatico della seconda ondata del Covid-19. Una situazione che cambia di giorno in giorno, ma “stiamo osservando che la curva dei ricoveri giornalieri in terapia intensiva sta assumendo un andamento più lineare e meno esponenziale”. Nonostante questo, spiega, “non sappiamo dove ci porterà il picco di ricoveri, se ne prevedono mille intorno al 20 novembre”. Il problema maggiore è che gli ospedali lombardi “non si sono ancora attivati per rendere disponibili posti letto come successo durante la prima ondata e questo vuol dire farsi superare dal virus. Ma soprattutto, non bisogna ricadere nella tentazione della scorsa estate durante le prossime vacanze natalizie, quella cioè di sentirsi “liberi tutti”: ci porterebbe dritti a una terza ondata”.
Secondo quanto detto dal commissario Arcuri, un italiano su 60 risulta colpito dal virus, è una cifra allarmante?
Sicuramente sono numeri importanti, ma per quanto ci riguarda stiamo osservando che la curva dei ricoveri giornalieri in terapia intensiva, che a fine ottobre aveva un andamento esponenziale, nei giorni successivi ha preso un andamento più lineare. E’ vero che i dati globali sono brutti, però ci siamo assestati su circa 50-60 ricoveri in terapia intensiva al giorno. In Lombardia siamo oggi a 794 ricoverati, erano quasi 700 due giorni fa e quasi 600 quattro giorni fa. Vuol dire che, per quanto drammatica, la curva sta assumendo una andamento lineare.
Come mai questo?
E’ difficile dirlo, per fortuna l’atteggiamento del virus non è esplosivo, esponenziale. E’ vero che non sappiamo dove ci porterà il picco di ricoveri, si prevedono mille ricoveri intorno al 20 novembre, questo andamento però può far pensare che il lockdown morbido potrebbe dare risultati positivi. Siamo insomma lontani dai numeri della prima ondata.
Nella precedente intervista ci aveva detto che la mortalità è più bassa, lo conferma?
La mortalità rimane bassa se guardiamo alle terapie intensive. E’ vero che aumentano i decessi, però i pazienti che escono ed entrano sono una ventina al giorno. Se ogni giorno muoiono 120 persone, i decessi in terapia intensiva non superano i venti. C’è una mortalità per ora più bassa, bisogna vedere se questo dato, aumentando il numero dei ricoveri, si manterrà tale, probabilmente aumenterà.
Dal punto di vista sanitario, le difficoltà di oggi sono maggiori o meno pesanti rispetto alla prima ondata?
Se da una parte si è ottimizzata la strategia delle cure intensive, sappiamo cioè meglio quali approcci rianimatori applicare, dall’altro però questa seconda ondata ha una serie di problematiche.
Quali?
Per prima cosa bisognerebbe essere memori dell’esperienza fatta e quindi giocare di anticipo.
Cosa intende?
Abbiamo bisogno in Lombardia che molti ospedali mettano a disposizione subito letti di terapia intensiva: allora riuscimmo ad avere 1.500 letti rapidamente, oggi non c’è la stessa risposta. Bisogna cercare di stimolare tutti gli ospedali a mettere a disposizione letti.
Forse perché molti si lamentano di non venir più curati o ricoverati per via dell’emergenza virus?
Questa è mala informazione. Si continua a parlare di esclusione dei pazienti dalle cure, non ci sono sufficienti letti di terapia intensiva per cui bisogna escludere. Su questo sarei prudente. Il nostro atteggiamento al Sacco è di garantire una proporzionalità di cure, comunque di garantirle. Nel momento in cui dal punto di vista organizzativo c’è tanto da fare, non è accettabile escludere pazienti dalle cure perché non ci sono posti.
Torniamo al vostro approccio sanitario in questa seconda ondata.
La mortalità nei pazienti si gioca molto sul timing degli interventi. E’ necessario agire prontamente su questi malati, per questo dobbiamo avere tanti letti in anticipo. Il secondo dato della situazione attuale è che questa nuova ondata ha messo a dura prova il personale sanitario. Si sono verificati molti contagi avvenuti fuori dall’ospedale, perché anche noi abbiamo una vita sociale, e questo è un problema che in questa seconda ondata ci ha coinvolto di più.
Quali sono le prospettive? Andiamo avanti di lockdown in lockdown fino a quando non avremo un vaccino? Si parla già di una terza ondata in primavera, sarà così?
Il problema è che se cadiamo nel periodo natalizio nella tentazione di fare quello che abbiamo fatto in estate, cioè liberi tutti, il rischio è avere la terza ondata a febbraio, e questo è da evitare. Vanno bene lockdown più morbidi, ma di certo non possiamo alternare misure restrittive alla libertà totale.
Per contenere il virus aspettiamo il vaccino?
Certamente, ce lo auguriamo tutti, c’è un certo ottimismo nell’ambiente. Il problema è che nei prossimi due-tre mesi non sarà il vaccino ma il nostro comportamento a salvarci la vita. Dobbiamo mantenere un comportamento corretto.
(Paolo Vites)