L’aumento dei casi e la seconda ondata di Covid stanno portando all’esigenza di tracciare in modo rapido e sistematico i contagiati e i loro possibili contatti. Abbiamo visto tutti le code interminabili per riuscire a fare il tampone nasofaringeo o quello molecolare, lo strumento più preciso per diagnosticare una infezione, come ci spiega Roberto Cauda, professore ordinario di Malattie infettive nell’Università Cattolica del Sacro Cuore, “ma si stanno sviluppando diversi test cosiddetti rapidi: ad esempio quello salivare o quello che è in distribuzione adesso nelle farmacie di tipo sierologico”. Purtroppo, aggiunge Cauda, “la velocità ha un costo in termini di sensibilità: se la carica virale è bassa, il test potrebbe risultare erroneamente negativo e non riuscire a rilevare l’infezione, anche se presente”. La Regione Piemonte ne ha già ordinate un milione di dosi, 50mila dovrebbero essere già disponibili in queste ore nelle farmacie previa prenotazione. In Emilia-Romagna i test sono cominciati già lo scorso 18 ottobre, ed è anche l’unica regione in cui il test viene pagato dal Servizio sanitario nazionale, mentre in tutte le altre il cittadino dovrà pagare di tasca propria. Il costo? 43 euro, 32 se in famiglia si acquistano due test antigenici.



Che differenza c’è tra i test cosiddetti rapidi e quelli tradizionali?

La differenza principale è che i test rapidi non mettono in evidenza l’Rna, ma gli antigeni del virus. Ecco perché si chiamano test antigenici. Inoltre il tampone classico ha bisogno dalle 2 alle 8 ore per l’esecuzione, il tampone rapido circa 15 minuti. Va detto che l’uso in farmacia di questi tamponi non è una novità, perché si utilizzano da mesi negli aeroporti.



Ci può dettagliare meglio la differenza? Chi va in farmacia può essere sicuro della diagnosi?

Questi tamponi hanno una buona specificità, ma la sensibilità è lievemente ridotta rispetto al tampone classico. In più il tampone biomolecolare permette di sapere quanta sia la carica virale. I test rapidi dicono se sei negativo o positivo, il biomolecolare mette in evidenza la quantità di Rna del virus. In sostanza, uno è quantitativo, gli altri sono solo qualitativi. Sia il test salivare sia il test rapido mettono in evidenza gli antigeni, non l’Rna.

Quando un test si può dire sicuro?

Il tampone antigenico ha una buona sensibilità da utilizzare per lo screening. Un tampone positivo con il test antigenico deve essere confermato da quello biomolecolare, perché ci potrebbero essere dei falsi positivi. Il problema dei tamponi, è bene ripeterlo, fotografa quella che è la situazione in quel momento, non dice il giorno dopo cosa potrebbe avvenire. Certo, è importante, ma non è una fotografia del futuro.



Il viceministro della Salute, Sileri, ha detto di non esagerare con i tamponi, perché?

Proprio perché il tampone fotografa un preciso momento, è bene farlo nel momento più opportuno da parte di chi è venuto a contatto con un contagiato. Prima cosa, ci si deve mettere in quarantena, ma si deve anche fare il tampone biomolecolare al termine della stessa.

Perché?

Inizialmente può essere negativo, ma in genere la positivizzazione accade tra il quinto e il settimo giorno. Dieci giorni di quarantena sono un buon compromesso, le infezioni con una così lunga incubazione sono piuttosto rare.

Qual è dunque il motivo di farli in farmacia? Non è che si sta sviluppando una certa ossessione del tampone?

In questa fase estremamente delicata bisogna cercare di fare il maggior numero possibile di tamponi. Più se ne fanno, più si riesce a mettere le persone contagiate in quarantena e a fermare il diffondersi dell’infezione. Oggi se ne fanno circa 160mila al giorno, secondo alcune persone bisognerebbe farne 250mila al giorno o anche di più. Abbiamo tutti visto l’esempio di Vo’ Euganeo, dove l’importanza dei tamponi è stata fondamentale. Si è visto che il virus circolava in questo paese più di quanto non lo dimostrasse il numero dei soggetti sintomatici. E l’uso del tampone ci indicava il ruolo importante della catena di contagi svolto dai soggetti asintomatici.

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