Piero Amara è stato scarcerato nei giorni scorsi dai giudici di Potenza anche, se non sopratutto, in virtù delle tante dichiarazioni rilasciate ai pm nelle settimane passate in cella: ammette alcune colpe, rilancia su altre accuse, lo schema dell’avvocato-affarista implicato nei casi Ilva, Eni, Palamara resta sempre lo stesso. Dalle carte emerse oggi su “La Stampa”, spunta anche un nuovo “mirino” puntato da Amara: le nuove confessioni riguardano Matteo Renzi e il sistema di ‘potere’ fiorentino che coinvolgeva oltre all’ex Pd anche Ferri, Lotti e lo stesso ex Csm Palamara.



In merito al caso Ilva – filone d’inchiesta per cui è stato arrestato Amara – le dichiarazioni fatte davanti ai giudici di Potenza mostrano la figura di Enrico Laghi come punto di contatto tra Renzi e i magistrati: il personaggio in questione è docente alla Sapienza, commercialista e volto non nuovo negli incarichi privati, ad esempio recentemente è stato chiamato alla presidenza della cassaforte dei Benetton. Per Laghi anche diversi ruoli pubblici nelle grandi aziende commissariate, e da qui parte l’ennesima denuncia di Amara.



LE NUOVE ACCUSE DI AMARA

«Laghi è un genio di mostruosa intelligenza, che ti fa fare una cosa pensando che l’hai chiesta tu», racconta l’avvocato-lobbista ai magistrati di Potenza negli scorsi giorni. Nel 2015, racconta ancora Amara, Renzi lo aveva nominato all’Ilva di Taranto, «dove era l’imperatore: non si muoveva un dito se non era lui a decidere». Lo stesso Amara avrebbe poi confermato con i pm dei suoi solidi rapporti con Luca Lotti (che però li nega ormai da tempo), addirittura avrebbe ricevuto un «finanziamento illecito grande quanto una casa» che nei prossimi giorni dovrebbe consegnare agli stessi magistrati. La tesi di Amara, tutta ovviamente da dimostrare – come già occorre precisare per i casi Eni, Storari-Davigo e Csm – vede Laghi muoversi a Taranto così bene perché «aveva rapporti diretti col premier e con la famiglia Riva». Per Amara, lo Stato e i Riva, seppur nel 2012 si è giunti all’allontanamento, sarebbero ancora una cosa sola nella gestione dell’Ilva: parole molto gravi, in aggiunta a quelle riferite subito dopo (sempre fonte “La Stampa”), «Laghi giocava con tre mazzi di carte, sia da una parte che dall’altra, esercitando un ruolo dubbio tra Taranto e Milano». In conclusione, la stilettata ultima al leader di Italia Viva: «Laghi, Capristo e Renzi erano tutta una cosa nella gestione finale del patteggiamento con cui l’Ilva cercava di sfilarsi dal maxiprocesso “ambiente svenduto”».

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