Con un’articolata nota la Presidenza della Repubblica ha reso pubblica la posizione del Capo dello Stato sulle gravi vicende relative al Csm. In sostanza, è stato ribadito quanto già Mattarella aveva affermato lo scorso anno innanzi al Consiglio: lo sconcerto per la “degenerazione del sistema correntizio e l’inammissibile commistione fra politici e magistrati (…) augurandosi che il Parlamento” provveda “ad approvare una adeguata legge di riforma delle regole di formazione del Csm”. Una riforma legislativa che restituisca “credibilità” all’ordine giudiziario e nello stesso tempo salvaguardi l’indipendenza della magistratura.
Al momento, è stato aggiunto, non vi sono le condizioni poste dalla legge per sciogliere anticipatamente l’attuale Consiglio, né il Capo dello Stato intende inviare un apposito messaggio per sollecitare il Parlamento in tal senso, dato che già sono state “annunciate come imminenti” apposite iniziative legislative. Il Presidente ha dunque tenuto ferma l’indicazione della strada da percorrere. Non la revisione costituzionale, ma la riforma della disciplina elettorale. Il Parlamento, adesso, seguirà?
A ben vedere, da tempo non c’è istituzione più discussa del Consiglio Superiore della Magistratura. Tra i costituenti si temeva che diventasse un organo costituito da “alti baroni della magistratura”. Ma, se così fosse stato, non ci sarebbe stato bisogno di cambiare il sistema elettorale dei magistrati quasi una decina di volte. Una continua slavina, potrebbe dirsi. Molti giudizi negativi sono stati espressi, anche da giuristi di elevata caratura. Negli anni Settanta Salvatore Satta lo definì come “un organo incostituzionale della Costituzione”, e che sarebbe stato meglio modificare o addirittura sopprimere. Negli anni Ottanta, Aldo M. Sandulli individuò nel Csm una causa dell’“inquinamento politico” della giustizia. Il famoso scontro tra Cossiga e il Csm nei primi anni Novanta è ricordato come una delle pagine più controverse della storia repubblicana. E neppure la ferma guida di Napolitano, più di venti anni dopo, è stata sufficiente per riportare equilibrio nel rapporto tra magistratura e politica.
Tante proposte di revisione costituzionale sono state formulate, ma nessuna è giunta in porto. Questo organismo “ibrido, un qualcosa che non sta insieme”, come ha rilevato Mario Patrono, ha resistito ad ogni critica ed ha superato la prima e la seconda Repubblica. E del resto oggi le forze politiche, sempre più deboli e meno forti, assai difficilmente potrebbero imporre modifiche costituzionali che, ad esempio, eliminassero il connotato elettivo o riducessero, solo parzialmente, la numerosità della componente eletta dai magistrati. Tra l’altro, sarebbe facile gridare allo scandalo, ed assimilare ogni proposta di tal fatta a quelle recentemente attuate in Polonia e ancora sotto processo da parte dell’Unione Europea. Tanto più che la prospettiva dell’intervento sanzionatorio della Corte di Giustizia in nome della rule of law, è uno strumento attivabile anche degli stessi giudici nazionali.
E allora anche stavolta, innanzi all’ennesimo episodio di malcostume, si ipotizzano nuovi sistemi elettorali, in coerenza con il percorso già sollecitato e adesso ribadito dallo Capo dello Stato. Ci si può domandare, tuttavia, se ed in quale modo, modificando ancora una volta il canale di accesso dei magistrati nel Csm, si possano davvero indirizzare in modo virtuoso i comportamenti dei componenti di questo organo e nel contempo salvaguardare l’indipendenza della magistratura.
Infatti, nel Csm l’intreccio tra gli interessi di natura corporativa e quelli delle fazioni politiche e politicizzate, è così inestricabilmente connesso con il funzionamento dell’organismo, che la sola sostituzione del sistema proporzionale con quello maggioritario non appare sufficiente. Tanto più se, come risulta dalle anticipazioni, si introducesse un sistema maggioritario a doppio turno. Chi potrà mai impedire alle correnti organizzate anche secondo logiche di schieramento politico, di “riorganizzarsi” secondo la foggia della nuova legge elettorale? Non servirà sforzarsi molto: basterà raccordarsi all’interno di coalizioni a vocazione maggioritaria, collegando le scelte nazionali agli accordi locali, procedendo a qualche scambio tra le candidature e le rinunce a queste ultime, o giungendo ad accordi sulle desistenze o sulle dimissioni. La presenza del secondo turno, poi, sarebbe la “ciliegina sulla torta”, per altri scambi assai poco commendevoli.
Insomma, non si muterebbe la deriva, con il rischio che il rinnovarsi o l’incancrenirsi degli scandali potrebbe poi obbligare la Presidenza della Repubblica ad intervenire in modo ben diverso dall’attuale attendismo, compiendo così scelte traumatiche che potrebbero anche finire per farla divenire parte del problema, e non della soluzione.
Cosa fare, allora? In primo luogo, il meccanismo di traduzione dei voti in seggi deve necessariamente orientarsi verso il maggioritario a turno unico. Solo in questo modo si potrà efficacemente contrastare la grave distorsione sinora verificatasi, e cioè il fatto che l’elezione al Csm è stata essenzialmente l’occasione per pesare le correnti dell’associazionismo e per rappresentare queste ultime, e non i magistrati, all’interno del Consiglio.
In secondo luogo, la disciplina elettorale deve essere accompagnata da una accorta normativa di contorno, agendo, soprattutto, sul fronte delle candidature. Per Costituzione, oltre ai componenti di diritto, il Csm è costituito, per due terzi, da magistrati “eletti” da tutti gli appartenenti alle varie categorie della giurisdizione ordinaria, e questo significa che le modalità di elezione devono assicurare che gli eletti siano selezionati in modo autonomo e diretto dagli stessi magistrati, senza alcuna interferenza e condizionamento da parte di soggetti terzi che ne pregiudichino l’indipendenza, sia nel momento della designazione dei candidati, che nella successiva fase di svolgimento delle funzioni quali componenti del Csm.
Pertanto, si può partire da tre semplici proposte da aggiungere alla soppressione del sistema elettorale proporzionale a liste concorrenti e alla sostituzione con il maggioritario a turno unico: l’estrazione a sorte dei candidati, prevedendo che un’eventuale rinuncia da parte dei sorteggiati costituisca violazione dei doveri d’ufficio; il divieto di ogni forma di sostegno ai candidati sorteggiati da parte di soggetti terzi o gruppi organizzati, interni o esterni alla magistratura ordinaria, con l’introduzione di apposite sanzioni anche penali; e, infine, l’obbligo per gli eletti, al termine del mandato, di trasferimento in una circoscrizione giudiziaria stabilita secondo criteri automatici.
Così sarà più difficile che la carica di componente togato del Csm sia considerata come un mezzo per scambiare favori a chicchessia o per favorire la propria carriera. Sarà un munus da adempiere non per interessi personali o associativi, ma nel bene comune. Per provare a spezzare, per quanto possibile, i condizionamenti impropri. Per provare a riportare piena correttezza e neutralità.