Il ragazzo ci è cascato di nuovo, anche se non sembra propriamente avere il physique du rôle da eminenza grigia del male, da cospiratore nell’ombra. Luca Lotti era stato coinvolto già nel dicembre 2016 nello scandalo Consip (società di cui il ministero dell’Economia è azionista unico), quando avrebbe spifferato a un indagato che la sua utenza telefonica era sotto controllo. 



L’infaticabile Lotti avrebbe stavolta ordito un dopocena romano, insieme al collega, anch’egli del Pd, Cosimo Ferri, e al membro del Consiglio superiore della magistratura Luca Palamara. Tema di questa chiacchierata di congiuranti, a cui si aggiungevano altri componenti dell’organo di autogoverno della magistratura, manco a dirlo, una manciata di nomine “pesanti” tra le toghe e gli uffici giudiziari italiani, compresa la Procura di Roma. Addirittura, il deputato Lotti, autosospesosi dal Partito democratico che non aveva mancato di farlo sembrare un molesto ed elefantiaco Azzeccagarbugli aggiustaprocessi, avrebbe tirato in ballo il Presidente della Repubblica, informato, secondo il Lotti, delle sue manovre.



Il Colle ha smentito e in una fase complessa come quella attuale non è solo prammatica istituzionale o risentito galateo costituzionale. Sergio Mattarella è volto ben percepito dall’opinione pubblica, persona ritenuta di sobria compostezza, timoniere compassato. Gli si attribuisce uno stile meno decisionista e invero non sempre meno incisivo del suo due volte predecessore, Giorgio Napolitano, unico Presidente della storia repubblicana eletto per due volte e non raramente prodigo di interventi a gamba tesa sulla politica parlamentare.

Verrebbe da chiedersi: cui prodest? Gli intercettati millantano per farsi ritenere attendibili, sotto lo scudo della Presidenza? O il Colle comunque sapeva e sa che negli incastri delle nomine giudiziarie, anche quelle di più elevata fattura e di più specchiata natura, ci sono calcoli e quadrature che sovrintendono ai ruoli e cementano la cooperazione, in luogo di boicottaggi e franchi tiratori? 



Da tempo si discute di riformare, e quando e come, il Csm, che ha competenze amplissime sui giudici e non solo. Il rovello dei processualisti e dei costituzionalisti è pari a quello che avvertono gli studiosi di diritto internazionale quando si parla di riformare i trattati: proposte astruse o geometrie complicate, equilibri difficili e meccanismi al millesimo; salvo poi non arrivare a nulla. E forse del Csm si dovrebbe ragionare a partire da come vengono scelti i suoi componenti, oltre a quelli di diritto (il “primo Presidente” della Corte di Cassazione, il Procuratore generale e, soprattutto, il Presidente della Repubblica).

La Costituzione del 1948 scelse un organo a composizione mista per togliere le ingerenze politiche dalla magistratura, e il Parlamento in seduta comune nomina solo un terzo dei componenti dell’organo; i restanti due terzi se li scelgono, invece, i magistrati. Si può legittimamente chiedersi se questo equilibrio abbia oggi lo stesso senso e la stessa funzione che aveva nel 1948 e ci si può ugualmente chiedere se non sia, allo stato delle cose, la magistratura a cercare di pesare sulla politica, a sottrarle poteri decisionali e a emularne i ruoli e le prerogative. Si dirà del resto che la magistratura stessa ha finito per darsi una fisionomia troppo correntizia, che discute più su nomine e trasferimenti che su scelte di fondo dell’autoregolazione degli uffici giudiziari (come snellire il contenzioso, come paralizzare i conflitti di interesse anche solo eventuali, come concorrere ad accezioni di legalità e giurisdizione condivise dalla cittadinanza). 

Si può anche dire che correnti e sottocorrenti nell’Associazione nazionale magistrati (Anm) sono già troppe e tutte o quasi troppo fedelmente vicine alla parte politica che le esprime: Magistratura democratica, Unità per la Costituzione, Magistratura indipendente, Autonomia e indipendenza. Coi loro congressi, dibattiti e nomi forti. 

Tutto vero, ma tutto ciò che c’entra? Fino a prova contraria, le inchieste sono inchieste, non sondaggi d’opinione, non riassunti dello scibile umano. E non possono lontanamente permettersi di diventare bersagli facilitati per giocare a freccette, tutto facendo e tutto disfando. Quando Nerone appicca il fuoco, dimentica che è la sua Roma a bruciare.