Nella serata di mercoledì a Guayaquil, la città capitale dei cartelli narco in Ecuador, il magistrato Cèsar Suarez è stato assassinato da sicari nel corso di un attentato nel quale ha ricevuto 20 colpi. Suarez aveva in carico non solo le indagini inerenti all’irruzione di un commando narco nel canale televisivo TC Television, lo scorso 9 gennaio, ma indagava su molti altri casi edaveva appena ottenuto l’arresto di un funzionario per corruzione. Difatti il giudice Emerson Curipallo, che ha agito in favore del capo narco Daniel Salcedo (arrestato ieri a Panama), è stato arrestato dopo le indagini condotte da Suarez, nel dicembre scorso, accusato di aver ricevuto 250.000 dollari per mano del narcotrafficante Leandro Norero.
Secondo le informazioni che abbiamo ricevuto, gli assassini di Suarez hanno abbandonato e incendiato l’auto che è stata utilizzata nell’attentato. C’è da dire che lo stesso Suarez aveva richiesto di essere scortato, visto che la sua figura non era solamente al centro dei casi sopracitati, ma costituiva un pezzo importantissimo, insieme alla collega Diana Salazar, dell’operazione chiamata “Metastasi”, che dovrebbe combattere una guerra contro i vari gruppi narco che hanno recentemente incendiato il Paese.
Abbiamo già scritto che attualmente sia l’Esercito, messo in campo dal Presidente Noboa, che la Giustizia non dispongono di un potenziale tale da poter sradicare il problema da un Ecuador che fino a non molti anni fa, nel panorama latinoamericano, poteva definirsi un Paese tranquillo. E resta latitante uno dei massimi capi della criminalità narco, Adolfo Macias (detto Fito), evaso dalla prigione il giorno precedente l’insurrezione criminale.
“I gruppi di delinquenza organizzata, i criminali e i terroristi non fermeranno il nostro patto con la società ecuadoriana, continueremo a lottare con più forza e impegno: le forze dell’ordine dovranno però garantire l’incolumità di quanti di noi sono impegnati in questa lotta”, ha dichiarato Salazar.
Fino al 16 gennaio sono stati arrestati ben 1.753 delinquenti, accusati di terrorismo, e ben 201 persone tenute in ostaggio sono state liberate: un risultato notevole, sebbene i due capi più ricercati (oltre al già citato Fito si aggiunge Fabricio Colon Pico) continuino nella loro latitanza.
L’attentato a Suarez non è ovviamente che l’ultimo di una serie che da anni si verificano nel Paese e che hanno visto vittime tra i giudici, i politici e anche i giornalisti che indagavano nelle loro cronache soprattutto sui legami internazionali delle bande. È noto che ormai nella “confraternita criminale” latinoamericana si sono inserite anche mafie di altri Paesi: soprattutto quelle albanesi, ma anche, in primissimo piano, la “nostra” ‘Ndrangheta, che da anni ha messo piede in Sudamerica non solo come tramite nel traffico di droga verso l’Europa, ma pure dedicandosi ad attività “lecite” come il turismo, specialmente nel Nord del Brasile, dove fin dalla fine degli anni Novanta detiene un potenziale monopolio.
La sua influenza si è estesa da anni anche in una Argentina che, oltre a garantire l’impossibilità di estradizione (visto che, come in Brasile, non esiste alcun accordo) ha in Buenos Aires il porto dal quale la droga viene spedita nel Vecchio continente.
Per contrastare un fenomeno che ormai abbraccia molti Paesi è però necessario concretizzare dei cambiamenti a livello politico, che permettano di poter condurre una lotta più incisiva contro i poteri criminali: soprattutto condannando e perseguendo le alleanze politiche che nel corso di questi anni hanno non solo protetto ma fatto crescere il potere delle varie bande, fatti che hanno permesso la loro presenza ormai troppo massiva. Aiutata anche da una serie di leggi, promosse dai loro sponsor politici, che nel corso degli anni hanno non solo depenalizzato molti reati, ma creato in certi casi un alone di leggenda come difensori delle classi meno abbienti: basti vedere come in Colombia Pablo Escobar sia ancora rimpianto da molti.
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