Dopo due anni di sanguinoso conflitto in cui sembrava che il governo centrale etiope avesse stretto d’assedio le forze tigrine nei loro territori, creando anche un disastro umanitario di grandi proporzioni (almeno 400mila persone rischiano di morire di fame per il blocco degli aiuti umanitari) improvvisamente negli ultimi giorni si sta assistendo a un completo ribaltamento del fronte. Le forze di liberazione del Tigray hanno conquistato alcuni dei centri più importanti dell’Etiopia e si stanno dirigendo in massa verso la capitale Addis Abeba, tanto che il premier etiope Abiy Ahmed ha proclamato lo stato di emergenza nazionale invitando tutti i cittadini a scendere per strada con qualunque arma per fermare i ribelli.



“Non è una sorpresa questo ribaltamento del fronte” ci ha detto Marco Di Liddoresponsabile dell’Area Geopolitica e analista responsabile del Desk Africa e del Desk Russia e Balcani del Cesi (Centro Studi Internazionali),“perché le forze del Tigray sono un network ottimamente organizzato dal punto di vista politico e militare, centinaia di migliaia di soldati tigrini hanno disertato per unirsi alle milizie ribelli e i leader sono stai capaci di far sollevare molte altre realtà etniche del paese”. Questo perché, ci ha detto ancora, “quello che è in ballo è il progetto di Ahmed di creare una Etiopia statalista e centralizzata che elimini le realtà etniche locali che fino a oggi hanno reso ingovernabile il paese, cosa che è vista malissimo da molte di queste realtà”.



Le milizie tigrine hanno rovesciato il fronte, si stanno avvicinando ad Addis Abeba. Come è stato possibile questo capovolgimento?

Non dobbiamo sorprenderci. Sin dall’inizio si sapeva che il rischio di iniziare una guerra contro i tigrini era altissimo. I tigrini sono un popolo con una fortissima identità nazionale e hanno un network ben radicato nel paese con strutture politiche e militari articolate, funzionali e gerarchiche. Addis Abeba non ha lanciato una sorta di crociata contro una minoranza disorganizzata che aveva a disposizione una milizia sgangherata. È una lotta di uno Stato contro una realtà ben strutturata che tra l’altro può contare su alleati nelle strutture burocratiche e soprattutto nell’esercito.



Come si spiega la forza e la preparazione dei tigrini? 

Quando è cominciato il conflitto centinaia di migliaia di tigrini che militavano nell’esercito etiope hanno disertato e si sono schierati contro Addis Abeba, soldati ben addestrati che conoscono le regole della guerra e della guerriglia. Inoltre possono contare su tutte quelle realtà etniche che sono contrarie al piano di centralizzazione  del premier Abiy Ahmed.

Come l’Esercito di liberazione Oromo, che persegue l’indipendenza dell’Oramia, lo stato più popoloso dell’Etiopia, giusto?

Sì, uno Stato federale a sud della capitale. La cosa particolare è che lo stesso presidente Ahmed è di origine oroma, il che ci fa capire come sia diviso e frammentato il fronte interno.

Ecco, ci spiega perché tutte queste realtà locali si sono rivoltate contro Ahmed?

Ahmed aveva avviato un progetto per superare l’etno-federalismo e costruire uno stato centralizzato che superasse le logiche della spartizione etica delle cariche istituzionali. Un progetto molto polarizzante in cui si trovano componenti etniche che sono d’accordo e altre che invece sono del tutto in disaccordo. I tigrini sono stati bravi a rivolgersi a tutte quelle componenti etniche in disaccordo con il governo centrale.

Questo progetto nasceva in buona fede o era un tentativo dispotico di sopprimere le realtà locali?

No, progetto dispotico no. L’Etiopia, per quanto paese con problematiche democratiche, rispetto ad altri paesi africani è sicuramente più avanti. Non era un progetto dispotico. Ahmed pensava che l’etno-federalismo favorisse determinate componenti piuttosto che altre. Per questo voleva ripulire l’apparato istituzionale da influenze eccessive a suo modo di vedere dei tigrini e per farlo doveva smantellare il vecchio sistema partitico e istituzionale e costruirne uno nuovo che doveva passare attraverso un aumento dei poteri dello Stato centrale rispetto alle realtà locali e la costruzione di un nuovo partito di unità nazionale. Per chi amava l’etno-federalismo il progetto centralista di Ahmed era considerato dispotico, per gli altri era la soluzione ai guai del paese. Ahmed si era presentato come uomo di pace per trovare una soluzione negoziata, ma quando la partita è diventata cruciale non ha esitato a usare lo strumento militare.

Si parla di abusi e crimini di guerra.

Assolutamente sì, ma nelle guerre, in tutte le guerre, in particolare quelle africane, questo tipo di azioni sono all’ordine del giorno. Bisogna un po’ uscire dalla mentalità che si possano combattere guerre senza commettere abusi.

Ahmed avrebbe avuto l’aiuto di droni degli Emirati arabi: questo cosa ci dice?

Che certamente c’è un coinvolgimento internazionale. Sull’uso di droni forniti dagli Emirati sarei un po’ cauto, anche se il rapporto fra i due paesi è molto stretto, non solo militare ma anche economico. Gli Emirati hanno avuto un ruolo importante nella pace con l’Eritrea e nell’espansione nel Corno d’Africa. Non sarebbe sorprendente  che abbiano inviati droni e aerei, perché gli Emirati hanno mire di espansione nel mercato della difesa in Africa orientale.

Che previsioni si possono fare? I tigrini conquisteranno Addis Abeba?

Impossibile dirlo. Ma non dobbiamo sottovalutare le forze tigrine, che già una volta hanno rovesciato un regime ben più duro, quello delle giunta militare socialista del Derg.

(Paolo Vites) 

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