In Francia i fronti tra sensibilità e collettività differenti sembrano essersi consumati. La società si è oramai frazionata in segmenti che si detestano, in aree che si dirigono verso la separazione più totale le une dalle altre.

In questa società, dove sono in troppi a voler costituire una comunità per conto proprio, provocazione e reazione arrivano oramai a impattarsi direttamente, senza che si manifestino delle dimensioni intermedie e, men che meno, delle aree di collaborazione.



A Nanterre, nell’immediata banlieue di Parigi, un poliziotto spara al conducente di una Mercedes che, dopo essersi fermato all’alt dei due agenti, decide di scappare. Il colpo è mortale, definitivo. Il conducente dell’auto, già noto per le sue intemperanze, anche se non aveva ancora riportato condanne penali, aveva diciassette anni. Il suo esecutore, che di anni ne ha 38 i cui ultimi dieci trascorsi in polizia, era invece stato lodato in passato per le sue qualità professionali.



Mai come in questo caso la professionalità delle forze dell’ordine si è rivelata altrettanto inefficace e soprattutto autodistruttiva.

Si assiste adesso ad una tempesta sociale che si abbatte di nuovo in Francia. Dove le periferie tornano a incendiarsi la notte e si danno a fuoco le autovetture. C’è un poliziotto omicida, c’è una vittima minorenne, ma c’è anche un universo che non vuole più integrarsi, un mondo giovanile per il quale il colpo di pistola del poliziotto di Nanterre è l’ultima delle prevaricazioni da parte delle forze dell’ordine. Forze che rappresentano una nazione dalla quale questo stesso universo non solo si sente attratto sempre meno, ma soprattutto fa della separazione, della sua scelta di non vivere “alla francese”, recuperando e ostentando la propria totale estraneità, la pietra angolare della propria esistenza.



Dinanzi a questo micro-universo, che oramai vive nel risentimento permanente, si trovano sempre meno oppositori.

Al di fuori delle micro-società che attraversano le periferie c’è infatti un modello di vita dominante, un ambiente societario storicamente radicato, che oramai è in piena difficoltà. E non si tratta solo delle conseguenze di un welfare sempre più esposto alle rigidità di spesa – l’ondata delle proteste per il nuovo regime pensionistico ne è la prova – e sempre meno capace di andare oltre i tagli continui. Si tratta anche di un Paese giunto alla fine di un intero ciclo storico e posto dinanzi alla necessità di rinnovarsi profondamente, recuperando slanci e radici, passioni e volontà.

Ma al di fuori delle micro-società del risentimento, cresciute negli anni dentro un mondo auto-referenziale e tra le maglie stesse di quella che ancora rivendica il titolo di “società dominante”, si espande anche un nuovo protagonista. Questo è rappresentato dalla critica radicale, culturale e politica al tempo stesso, che fa della Francia e della sua cultura l’epicentro di tutti i mali, la radice di ogni sopraffazione.

Questa critica alla Francia ed alla sua cultura (colpevole di essere occidentale, bianca e cristiana), proveniente dai settori più radicali della sinistra, è un vero e proprio canto delle sirene per le micro-società del divorzio permanente e definitivo nei confronti di un Paese che oramai detestano.

Il saldarsi delle micro-società del risentimento con quella della cultura del risveglio contro tutte le oppressioni, è alla base delle potenziali rivolte individuali, delle provocazioni continue e degli atti di ribellione. Atti tanto ingenui quanto plateali, come può essere la guida senza patente di un’auto status-symbol, sotto l’occhio di due amici che daranno notizia del gesto, compensandolo con i dovuti onori all’interno del micro-gruppo.

Infine, in modo trasversale alla micro-società del risentimento, c’è la crescita di un universo delle relazioni famigliari dissociate e perse, delle responsabilità perdute e delle paternità mancate. Un universo assente che, anche quando c’è, appare totalmente silenzioso. Affetti reali e intensi che tuttavia non riescono più ad educare in quanto, a loro volta, senza radici. In questo mondo frammentato, nel quale la ricerca di passaporti identitari può passare anche per la rivolta, ci sono sempre delle auto vistose da guidare, dei gendarmi da irridere e delle vittime da vendicare.

Ma soprattutto c’è sempre di più una società che cade nel dilemma tra tolleranza e reazione, tra indifferenza e sottodimensionamento da un lato e “risposta al fuoco” all’altezza della provocazione ricevuta, dall’altro.

In realtà solo la fine della cultura del risentimento e un ordinato rientro nel reale, possono smobilitare una micro violenza quotidiana della quale ci si nutre, come se fosse l’unica identità possibile.

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