La difesa della democrazia è da settimane sulla bocca di tutti in Francia, al punto che sembra di essere tornati al tempo dell’Illuminismo. Nelle strade, all’Assemblea nazionale, a destra e a sinistra, Montesquieu e Voltaire sono tornati a essere i padri spirituali di una Francia che una parte della popolazione considera ostaggio di metodi di governo indegni di un sistema repubblicano.



L’approvazione forzata della riforma delle pensioni ha alimentato una rabbia latente fin dalla crisi dei gilet gialli. La democrazia è in pericolo, quale modo migliore di salvarla se non con la violenza? Perché è di questo che stiamo parlando, di uno scatenamento cieco dell’odio. Una settimana fa, a margine di una manifestazione, Jean-Baptiste Trogneux, nipote di Brigitte Macron, la first lady francese, è stato vittima di un violento attacco davanti alla fabbrica di cioccolato di famiglia ad Amiens. Non è la prima volta che questo negozio viene attaccato, dall’elezione di Emmanuel Macron nel 2017 e dalle prime ordinanze sul lavoro, ma è la prima volta nella storia della Quinta Repubblica che il parente di un politico viene preso direttamente di mira.



La settimana precedente, le auto e la casa di Yannick Morez, sindaco di Saint-Brévin-les-Pins, una piccola città di 14mila abitanti, erano state date alle fiamme mentre l’uomo si trovava a casa con la famiglia. Nel frattempo si è dimesso ed è stato ascoltato in Senato per più di due ore. Ha denunciato “la mancanza di sostegno da parte dello Stato” di fronte alle pressioni dell’estrema destra sul suo caso.

Secondo David Lisnard, presidente dell’Associazione dei sindaci francesi, lo Stato è diventato “impotente di fronte a questa violenza”. “I sindaci sono vittime di campagne diffamatorie sui social network, di minacce e di attacchi. Dal 2020 l’Amf mette in guardia da questo clima” ha spiegato in un’intervista.



Le crisi si susseguono da diversi anni e ogni volta viene superata la linea rossa. Un ministro viene chiamato assassino, il presidente della Repubblica viene schiaffeggiato, le effigi degli politici vengono allineate a terra e bruciate, viene simulata la decapitazione di Macron, si tengono manifestazioni davanti alle case degli eletti, terrorizzando i loro figli, Aurore Bergé, presidente del gruppo Renaissance all’Assemblea nazionale, viene contestata sui social network, minacciando il suo bambino di quattro mesi con “fuoco, ferro e una mazza da baseball” e promettendo che “tutto è in atto per sradicarvi”. Sandrine Rousseau di Europe Ecologie Les Verts viene regolarmente minacciata di morte e di stupro, Yaël Braun-Pivet, presidente dell’Assemblea nazionale, è vittima di commenti antisemiti e di minacce di morte. L’elenco continua con questi linciaggi finora simbolici, per non parlare delle fake news sui social network che cambiano le regole della protesta e permettono di scatenare l’odio da un comodo anonimato.

È questa l’espressione della democrazia, è questa la libertà di espressione dietro cui molti si nascondono oggi. L’odio, l’astio, la violenza sembrano sempre più legittimi e sfrenati. Secondo un sondaggio Ifop, per il 35% dei francesi “è talvolta necessario ricorrere ad azioni violente per portare avanti la propria causa o le proprie idee”. “C’è un alto livello di tensione nella società, tutto è abrasivo, tutto può giocare il ruolo di un fiammifero su una polveriera” spiega un consigliere del Governo.

E in questo gioco, gli estremi vengono nominati e accusati – in particolare la France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon – di alimentare le fiamme dell’odio distillando frasi a doppio senso, minacciando pubblicamente, con il rischio, come nel caso dell’aggressione a Trogneux, che persone fragili, emarginate o con un pensiero meno costruito, passino all’azione. Dopo l’aggressione, il procuratore di Amiens ha dichiarato: “Dobbiamo fermare il ballo degli ipocriti che giurano con la mano sul cuore di essere contro la violenza”. Forse è la migliore chiave di lettura di questa sfrenata violenza da parte di alcuni che ieri hanno preso di mira edifici pubblici e che oggi aggrediscono fisicamente gli eletti e ora anche le loro famiglie.

Gérald Darmanin, ministro dell’Interno, è stato chiaro: “gli estremisti, e in particolare la France insoumise, non hanno contribuito alla calma generale”. Mélenchon infatti ha denunciato l’aggressione del “chocolatier Trogneux” – come sarebbe stato chiamato il cittadino Trogneux all’epoca dei tribunali rivoluzionari – e dichiarato, a proposito del presidente, che “Luigi XVI lo abbiamo decapitato, con Macron possiamo farlo di nuovo”. Arringando le folle in questo modo, Mélenchon gioca con il fuoco, rischiando, come tutti coloro che soffiano sulla brace, di iniziare un incendio.

“Cosa diventa la nostra società se non distinguiamo più tra confronto politico e aggressione personale […]. Tutto questo dimostra una devianza o addirittura una rottura della società che è pesante. Quest’aggressione rivela la crescente impotenza pubblica dello Stato e l’impoverimento della nostra società”. Le parole di Lisnard sono dure ed evocano una ritirata dello Stato proprio sul terreno nel quale sarebbe opportuno portare soluzioni concrete. Probabilmente i pensatori dell’Illuminismo non avevano in mente questo quando hanno dipinto i tratti della società moderna. La Francia mette alla prova se stessa in questo clima velenoso e conflittuale e l’immagine che ci rimanda è piuttosto oscura.

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