Grazie alla solita intermediazione egiziana si è raggiunta una tregua tra palestinesi e israeliani dopo il rovente lancio di missili e conseguenti bombardamenti aerei degli ultimi giorni. Una tregua fragilissima, ci ha detto Filippo Landi, ex corrispondente Rai a Gerusalemme, che si regge solo su motivazioni politiche e destinata a cadere quando Israele e palestinesi avranno deciso in che modo procedere. Sempre secondo Landi, l’appoggio totale di Trump a Netanyahu sta dando a questi la possibilità di mettere in atto il piano che ha in mente da tempo, la fine cioè dell’ipotesi di due Stati confinanti perseguita per decenni dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. L’ormai prossima annessione di gran parte dei territori della Cisgiordania dopo quelle di Gerusalemme e delle alture del Golan sarebbe il passo definitivo che cambierà ogni cosa.



In questi ultimi scontri si  notato due posizioni differenti all’interno dei palestinesi: da una parte Hamas che ha chiesto immediatamente una tregua, dall’altra la cosiddetta Jihad islamica che invece minaccia di proseguire nel lancio dei razzi con obiettivi come una centrale nucleare. Che cosa rappresenta questa Jihad islamica?



La Jihad islamica a Gaza è un movimento e una struttura militare irrobustitasi negli ultimi anni facendo leva sul malcontento, soprattutto dei giovani, nei confronti di Hamas per la sua incapacità di raggiungere alcuni chiari obbiettivi, in particolare l’indebolimento dell’assedio israeliano. Un movimento che ha trovato in questa debolezza politica di Hamas il modo di rafforzarsi, propugnando un atteggiamento più duro e segnato da un’attività militare decisamente più vasta nei confronti di quella che Hamas usa di tanto in tanto anche come strumento politico.

Chi c’è dietro a questo movimento dal punto di vista internazionale?



Secondo gli israeliani ma anche secondo altre fonti il punto di riferimento è l’Iran. Non è probabilmente un caso che queste tensioni si siano accentuate e il lancio di razzi sia aumentato proprio nel momento in cui Trump ha comunicato nuove sanzioni economiche nei confronti dell’Iran e l’invio di una portaerei nel Medio oriente come avvertimento proprio all’Iran.

Israele ha immediatamente disposto lungo il confine una brigata militare, potrebbe davvero esserci una invasione di terra come si è sentito dire?

Sicuramente c’è in atto una valutazione politico-militare in Israele nei confronti di cosa fare di Gaza e sono in gioco due elementi.

Quali?

Il primo è che un attacco terrestre comporterebbe una perdita di vite umane da parte palestinese difficilmente gestibile politicamente. Sull’altro fronte c’è il timore di lanci massicci di razzi sulle città del centro e del sud d’Israele nel momento in cui Netanyahu desse l’ordine di attacco. L’annessione poi di una parte importante dei territori in Cisgiordania che ormai molti analisti ritengono prossima e imminente dopo quelle di Gerusalemme e dei territori del Golan potrebbe scatenare una durissima reazione palestinese. Sembra che Netanyahu sia deciso a portare avanti questa opzione politica dell’annessione decretando la fine dell’ipotesi dei due Stati che per molti anni è stata sostenuta dall’Unione Europea e dagli Usa.

Trump ha già infatti parlato di sostegno americano al 100 per cento…

Sì,  sembra che Netanyahu abbia l’appoggio di Trump contro l’ipotesi dei due Stati, che appare ormai definitivamente morta.

Cosa comporterà questo? La tregua secondo lei quanto è destinata a durare?

È sicuramente una tregua molto fragile, esposta più che a esigenze militari a esigenze politiche, e non è detto che i due contendenti non siano invece determinati a far venire meno la tregua stessa quando le decisioni politiche verranno assunte.

(Paolo Vites)