Sul Viale Rustaveli, a Tbilisi, c’è il parlamento. È lì che da giorni si raccoglie la protesta delle opposizioni europeiste anti-governative e dove ci sono tuttora violenti scontri. Aleksej Tilman ha lavorato per l’Osce e per il parlamento europeo, è esperto dei Paesi dell’area caucasica e corrispondente come freelance per varie testate (in particolare, Meridiano 13 e Valigia Blu). È appena rientrato da Tbilisi.



“La polizia e le forze speciali si mettono vicino ai lati del Parlamento e aspettano. Qualcuno attacca, prova a entrare nell’edificio, si sparano fuochi d’artificio, diventati il simbolo delle proteste” racconta Tilman al Sussidiario.

“A una certa ora della notte, quando il numero di manifestanti scende, la polizia cerca di disperdere con cannoni ad acqua e gas lacrimogeni i dimostranti. Alcuni di loro erigono barricate. Poi alle prime ore del mattino la polizia fa la carica finale e quello è normalmente il momento in cui avvengono le violenze peggiori. Ci sono molti video di manifestanti già a terra e malmenati dalla polizia, molti giornalisti georgiani sono stati feriti in queste cariche. È su queste violenze che si sono concentrate le critiche dell’Ue e degli Usa nei confronti del governo, più che sulle elezioni”.



L’Osce ha già validato il risultato del 26 ottobre?

L’Osce non valida i risultati, ma offre un giudizio tecnico sulle elezioni basato sul monitoraggio condotta da osservatori internazionali. Il primo comunicato della missione di osservazione è stato interpretato così perché l’Osce emette comunicati stampa prudenti, diplomatici, dovendo collaborare con le istituzioni dei Paesi partecipanti. Nel primo comunicato ha sottolineato che le elezioni sono state ben gestite ai seggi, ma risultano gravi criticità sulla segretezza dei voti e intimidazioni sui votanti. Adesso si attende il rapporto finale. Potrebbe non arrivare prima di un paio di mesi.



Dunque molto tardi rispetto ai tempi di una crisi che sembra peggiorare. Cosa prevedi?

È probabile che l’Osce darà raccomandazioni alla commissione elettorale georgiana su come gestire meglio le elezioni, sottolineando le criticità. Sarà, come sempre, un rapporto tecnico suscettibile di più interpretazioni.

La protesta contro il governo avviene solo in piazza?

No, alcuni membri dell’alta amministrazione statale si sono dimessi, lo hanno fatto anche cinque ambasciatori e il facente funzione in Italia. I dipendenti del ministero degli Esteri e del corpo diplomatico sono quelli che più negli anni hanno lavorato per l’integrazione euro-atlantica della Georgia.

Qual è l’identikit degli oppositori? 

Le fasce di età più giovani, soprattutto studenti medi e universitari. Prima delle proteste di massa di questi giorni erano soprattutto loro a protestare, non è un caso che le manifestazioni a un certo punto si fossero spostate davanti alle università. Poi si è aggiunta anche la gente comune.

Dunque c’è una frattura generazionale?

Sì, le vecchie generazioni hanno un orientamento più conservatore. La campagna elettorale di Sogno Georgiano è stata incentrata sulla pace: se volete la pace, votate noi. Nei manifesti elettorali campeggiavano la città di Mariupol’ in Ucraina, distrutta, e accanto una città georgiana integra. Le generazioni sopra la trentina hanno il ricordo della guerra, a cominciare da quella del 2008, e sono terrorizzate, giustamente, dal fatto di mandare i figli a combattere una guerra contro la Russia. In questi ultimi giorni in piazza ci sono un po’ tutti, giovani e meno.

Che cosa chiede la protesta, quali sono le rivendicazioni? 

Chi va in piazza lo fa per rabbia, è sempre stato così in Georgia. Le manifestazioni organizzate le prime settimane di novembre, iniziate dai partiti di opposizione hanno avuto scarso successo. Adesso i manifestanti chiedono nuove elezioni, il timore è che Sogno Georgiano stia sabotando il processo di integrazione europea, riportando il Paese nell’orbita della Russia. Gli slogan dei manifestanti sono sintetizzabili in: “Sì all’Europa, no alla Russia”.

Infatti il primo ministro Kobakhidze giovedì scorso ha congelato i negoziati per l’adesione all’Ue fino alla fine del 2028. Ma Sogno Georgiano non è un partito antieuropeo.

Sogno Georgiano mira a carpire l’orientamento dei georgiani, che in grande maggioranza sono sempre stati favorevoli all’ingresso della Georgia nell’Ue, ma, a parole, vuole farlo alle sue condizioni. In campagna elettorale, i manifesti di Sogno Georgiano avevano la bandiera europea. Infatti è stata la sospensione del negoziato a far esplodere le proteste di piazza.

Qual è la tua opinione in proposito?

Sogno Georgiano sostiene l’esistenza di un fantomatico “Partito Globale della Guerra” che vorrebbe trascinare la Georgia in una guerra contro la Russia. Dal mio punto di vista, Sogno Georgiano potrebbe anche essere realmente disposto a portare la Georgia nell’Ue, ma alla tacita condizione di rimanere al potere. Questo tuttavia è in contraddizione con i compromessi e le riforme che esige Bruxelles: per intenderci, oggi il governo ha il controllo del sistema giudiziario. Esistono anche tesi “cospirazioniste”, secondo le quali Tbilisi avrebbe sospeso i negoziati su pressione di Mosca, ma non si possono confermare. A sua difesa il governo di Kobakhidze risponde che i negoziati sono soltanto sospesi fino al 2028 perché il Paese non è ancora pronto e che l’obiettivo è l’ingresso entro il 2030. Gli ultimi sviluppi rendono più difficile pensare che ci sia interesse all’ingresso della Georgia nell’Unione Europea nella leadership del Sogno Georgiano.

L’orientamento di Sogno Georgiano è cambiato nel tempo?  

Quando Sogno Georgiano non aveva ancora un controllo così saldo delle istituzioni, era più propenso a negoziare con le opposizioni e le istituzioni europee. Ma va detto che erano tempi diversi, prima della guerra in Ucraina. Nel 2020 ci fu una crisi simile e dopo la tornata elettorale le opposizioni europeiste si rifiutarono di sedersi in Parlamento accusando Sogno Georgiano di brogli. Allora la crisi venne risolta proprio dall’Ue, che trovò una mediazione tra il “Sogno” e le opposizioni.

Nelle proteste sventolano le bandiere dei partiti di opposizione?

No. Bandiere europee, georgiane – tantissime –, ucraine, qualcuna americana.

Siamo davanti a un tentativo di colpo di Stato?

Al momento non direi. I manifestanti chiedono nuove elezioni perché sono convinti che ci siano stati brogli. Chiedono che siano elezioni gestite da enti terzi internazionali, ma questo ultimo punto non è ben definito.

Le opposizioni hanno dalla loro la presidente della repubblica, Salome Zurabishvili, che è in scadenza: il 14 dicembre dovrebbero tenersi le elezioni presidenziali, ma Zurabishvili ha detto che non si dimetterà perché il parlamento, che eleggerà il suo successore, è illegittimo. 

È la seconda novità istituzionale introdotta da Sogno Georgiano. La prima è stata la nuova legge elettorale proporzionale, con la quale si è votato per la prima volta il 26 ottobre, la seconda riguarda l’elezione del capo dello Stato, eletto non più dei cittadini, ma da un collegio di elettori composto dal parlamento e rappresentanti delle regioni.

Il partito di governo candida alla presidenza l’ex calciatore Mikheil Kavelashvili. Cosa puoi dirci?

Kavelashvili sembra un’altra strana operazione politica di Sogno Georgiano. Ha posizioni notoriamente anti-occidentali, prima era membro di “Sogno” ma lo ha lasciato nel 2022 per formare un gruppo parlamentare in teoria separato, che però ha continuato a supportare “Sogno” e che di fatto è risultato uno strumento per testare una retorica politica più “a destra” di Sogno Georgiano.

Il voto del 14 dicembre è destinato ad aumentare ulteriormente lo scontro tra governo e opposizione? 

È probabile, ma è difficile fare qualsiasi tipo di scenario. La situazione è molto fluida, ed è possibile che questa sia la settimana decisiva. In quale direzione, non possiamo saperlo.

(Federico Ferraù)

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