La temperatura dello scontro politico in Georgia è salita ulteriormente da quando il governo Kobakhidze, espressione di Sogno Georgiano, ha annunciato di voler aprire un procedimento penale contro Salomé Zourabichvili se l’ex presidente della Repubblica non si farà da parte il giorno in cui il neoeletto presidente, Mikheil Kavelashvili, inizia ufficialmente il suo mandato, vale a dire proprio oggi. Per tutta risposta, ieri il capo della diplomazia Usa Antony Blinken ha annunciato sanzioni contro il fondatore di Sogno Georgiano, Boris Ivanishvili (già incluso nell’elenco delle sanzioni ucraine), per i suoi “legami con la Russia”.
Il quadro è complicato dal fatto che l’opposizione non può rivendicare in esclusiva l’europeismo che le viene attribuito dai media mainstream europei e americani, perché anche Sogno Georgiano e il suo governo sono pro-Europa e filo-occidentali. Ciò che divide Sogno Georgiano dalle opposizioni sembra piuttosto il fatto di aver compreso benissimo cosa è accaduto in Ucraina da vent’anni a questa parte, e di voler evitare l’errore di Kiev.
“La crisi in atto sembra preludere ad una sorta di scontro finale. Va subito trovata una soluzione politica”, spiega Aldo Ferrari, ordinario di lingua e letteratura armena, storia dell’Eurasia, storia del Caucaso e dell’Asia Centrale all’Università Ca’ Foscari di Venezia e direttore del programma di ricerca su Russia, Caucaso e Asia Centrale presso l’ISPI di Milano.
Professore, a Tbilisi nessuno sembra cedere.
È così. La crisi in atto sembra preludere ad una sorta di scontro finale. Ma va detto che la Georgia è un Paese dove la democrazia, da quando c’è, è effervescente, molto partecipata. Ci sono spesso scontri, violenze, parole grosse tra manifestanti e governo. È chiaro tuttavia che a questo punto il conflitto non è soltanto politico, ma istituzionale.
Zourabichvili dovrebbe abbandonare il suo posto?
Sì, ritengo che dovrebbe farlo. L’ex presidente agisce da tempo fuori delle sue prerogative e il suo mandato è cessato. Di fatto si comporta da capo dell’opposizione. Lo dico senza entrare nel merito se sia condivisibile o meno la battaglia politica che sta conducendo.
L’ex presidente afferma di difendere la democrazia nel Paese.
La democrazia in Georgia è in pericolo soltanto se si ritiene che le elezioni del 26 ottobre siano da invalidare perché illegittime. Questo in Occidente viene dato per scontato, ma non è corretto. Il report dell’OSCE diffuso alla chiusura dei seggi ha parlato di episodi di intimidazioni sui votanti, ma non ha condannato esplicitamente le elezioni. Manca ancora un rapporto definitivo.
Lei ritiene che possano esserci stati brogli?
Non sono in grado di pronunciarmi, lo si potrebbe fare soltanto dopo avere verificato l’intero procedimento elettorale. Sogno Georgiano ha vinto per la quarta volta in 12 anni e si è imposto con il 54% contro il 38% delle sigle di opposizione. Se ci fossero stati brogli, ci troveremmo davanti ad una manipolazione di proporzioni imponenti.
Eppure, in Europa si preferisce credere che le elezioni siano falsate, dando credito alla versione delle opposizioni europeiste. Perché secondo lei?
Normalmente il racconto che in Italia e in Occidente si fa della politica georgiana contiene un errore di fondo che la deforma completamente.
Quale?
Sogno Georgiano non può essere definito filo-russo. È una definizione improponibile per chiunque conosca la Georgia. Sarebbe come parlare di un partito filo-russo in Polonia, per capirci.
Ci sta dicendo che è storicamente incompatibile. Con la Polonia intendo.
Esatto. Ma anche con la storia della Georgia; fatti salvi, s’intende, sparuti gruppuscoli che possono remare in senso contrario, ma che non sono numericamente e politicamente significativi. I georgiani, a torto o a ragione, sono quasi tutti anti-russi, infatti imputano alla Russia una lunga serie di torti e sopraffazioni che coprono più di due secoli, dalla fine del Settecento ad oggi.
Quindi?
Quello che noi occidentali facciamo – e che fa anche Zourabichvili, che è nata in Francia da famiglia dell’emigrazione di epoca sovietica – è usare il termine “filo-russo”, che in Georgia, faccio notare, è perfino offensivo, per accusare il nemico politico, che in questo caso è il partito di governo. Un partito che fosse davvero filo-russo dovrebbe comportarsi politicamente come tale: spalleggiando la guerra della Russia, entrando nell’organizzazione militare a guida russa (CSTO) o nell’Unione economica eurasiatica (UEE) anch’essa a guida russa. Ma niente di tutto questo sta avvenendo.
Quali conseguenze possiamo trarre da questo discorso?
Sono almeno due. La prima è che la nostra comprensione della vita politica della Georgia è molto limitata dalla legittima ignoranza, dalla lingua, dalla lontananza. Insomma è un Paese per conoscitori diretti o specialisti. La seconda è una conseguenza della prima.
Ovvero?
Ci siamo adattati alla narrazione che di questa situazione di conflitto politico dà l’opposizione a noi gradita, gradita in quanto filo-occidentale, cioè l’opposizione georgiana. Meglio ancora: le forze politiche georgiane che pretendono di avere l’esclusiva dell’orientamento filo-occidentale accusano il partito di governo di essere filo-russo e noi prendiamo per buona questa valutazione.
Quello che lei sta dicendo ha una corrispondenza nel fatto che Sogno Georgiano non si è mai definito partito anti-europeo, nonostante qui venga classificato da un po’ di tempo a questa parte come “euroscettico” o, appunto, filo-russo. È corretto?
Sì, perché Sogno Georgiano, come il governo che esso esprime e come la quasi totalità dei georgiani, è filo-occidentale. E vuole entrare nell’UE, ma lo vuole fare con i propri tempi e senza accettare tutto ciò che l’Europa vorrebbe imporre, in particolare nella sfera morale, familiare e sessuale. Non a caso uno degli aspetti dirimenti è la legge che limita la possibilità di impostare in Georgia un’agenda LGBTQ, proprio perché Sogno Georgiano sostiene che questo tipo di programma non fa parte della tradizione culturale e morale del popolo georgiano.
Ed è davvero così?
E sicuramente ancora così, a cominciare dalle fasce più adulte della popolazione. La Georgia è uno dei Paesi più religiosi al mondo, un Paese cristiano-ortodosso al cui interno la Chiesa ha un ruolo importante di guida. L’agenda LGBTQ è avversata dalla Chiesa georgiana e da Sogno Georgiano; in tutto questo non mi pare esserci nulla di anti-europeo. A meno che, ovviamente, non individuiamo nell’agenda LGBTQ l’avanguardia dei valori europei. Se qualcuno da noi e a Bruxelles lo fa, non deve a quel punto stupirsi dell’orientamento di Sogno Georgiano.
Il 28 novembre il premier Kobakhidze ha congelato i negoziati di adesione all’Ue fino al 2028. Come giudica quella decisione?
È stata una mossa dettata dall’orgoglio, imprudente e poco saggia. Ha dato nuova voce all’opposizione e alla sua accusa di anti-europeismo. Sarebbe bastato ripetere ciò che Sogno Georgiano dice da tempo, cioè di voler entrare nell’UE ma mantenendo fermi i valori tradizionali georgiani. E continuare il negoziato.
Secondo lei che cosa dovrebbe fare l’Unione Europea?
Vorrei vedere da parte dell’Occidente, dell’UE in particolare, un atteggiamento meno invadente, meno arrogante di quello che sta tenendo da tempo. Se lei va a vedere le risoluzioni del Parlamento europeo degli ultimi mesi riguardanti la Georgia sono di fatto indicazioni di voto ben precise. Bruxelles lo ha fatto già con la Romania, con la Moldavia e con l’Ucraina nel 2014. Siamo intervenuti negli affari interni di questi Paesi prendendo con decisione la parte di una parte, per usare un bisticcio di parole, e questo mi lascia molto perplesso.
Perché a suo avviso il consenso di Sogno Georgiano è così alto?
Per ragioni politiche ed economiche. Tra le prime ce n’è una che non si dice, ed è che la Georgia non vuole assolutamente essere coinvolta in un conflitto militare contro la Russia. Ma neppure in una guerra economica: quasi un milione di georgiani vive in Russia, le loro rimesse sono importanti per l’economia, Tbilisi esporta in Russia vino e altri prodotti agricoli, il turismo russo ha in Georgia una meta consolidata. C’è una necessità di collaborare con la Russia che l’attuale governo, diversamente da Bruxelles, vede chiaramente e non può compromettere.
La Georgia ha promesso di modificare la legge sugli agenti stranieri, secondo il segretario generale del Consiglio d’Europa. C’è una relazione tra la polarizzazione interna crescente e le ingerenze esterne contro le quali è stata voluta la legge?
Moltissime ONG lavorano in particolare nei Paesi post-sovietici con un’agenda di avvicinamento all’Occidente che ha grande successo soprattutto tra i giovani di quei Paesi. Lavorare con le ONG consente di avere stipendi alti, fa viaggiare, mette in contatto con l’Europa, con gli Stati Uniti, crea un’opinione pubblica. Dunque i sospetti da parte delle autorità politiche, in Georgia o altrove, non sono infondati e danno più di una giustificazione alla legge restrittiva approvata in Georgia nella primavera scorsa, in Europa subito definita “legge russa”. Qui farei due osservazioni.
Prego.
Innanzitutto gli stessi Stati Uniti hanno leggi fortemente restrittive di questo genere. In secondo luogo, cosa penseremmo noi in Italia se esistessero migliaia di organizzazioni finanziate dall’estero che promuovessero tra i giovani contenuti politici e sociali finalizzati alla creazione di un consenso eterodiretto?
Ha detto migliaia?
In proporzione sì. In Georgia sono centinaia, tutte finanziate da organizzazioni internazionali come USAID o Soros Foundation. Sono molto diffuse, molto influenti e spingono un popolo come quello georgiano, che ripeto, è già filo-occidentale, verso agende che confliggono con il sentimento morale di gran parte della popolazione.
E questa spinta, quella delle ONG finanziate dall’estero, incontra la pressione politica europea?
Si legga l’aggressiva risoluzione del 9 ottobre del Parlamento europeo sulle imminenti elezioni in Georgia. Di fatto è un avviso che va in una direzione precisa: o votate come piace a noi oppure restate fuori dall’UE.
Si può dire che tra le storie recenti di Ucraina e Georgia ci sono forti paralleli?
Ci sono paralleli e differenze. La geografia colloca la Georgia in Asia, la cultura religiosa la apparenta strettamente all’Europa. Dovremmo anche avere il coraggio di dire che essere cristiani è la cifra essenziale della cultura europea, ma non è più molto di moda. Per quanto riguarda l’Ucraina, c’è una vicinanza geografica all’Europa, ma è anche vero che sotto il profilo storico, economico e politico gran parte dell’Ucraina è stata per secoli legata alla Russia. Questo è un dato storico che prescinde dalla volontà dei singoli politici o delle stesse popolazioni.
Parliamo comunque di due giovani Stati-laboratorio, che hanno inserito nelle rispettive costituzioni l’ingresso nell’UE e, nel caso di Kiev, anche nella NATO.
Dopo le rivoluzioni colorate del 2003 e 2004, scoppiate quasi contemporaneamente in Georgia e in Ucraina, Il vertice di Bucarest nel 2008 negò l’ingresso immediato nella NATO, desiderato dagli Stati Uniti e dalle leadership appena andate al potere in Georgia e in Ucraina, mentre la Germania, la Francia e l’Italia si opposero. Una follia che l’Europa allora riuscì a fermare, ma la porta restò aperta per il futuro.
Perché la definisce una follia?
Noi occidentali ci rifiutiamo categoricamente, almeno a livello di vertici politici, di mettere in discussione la politica americana di estensione verso est della NATO. Ci rifiutiamo ancora di considerare la possibilità che sia stata sbagliata e che abbia provocato la guerra in Ucraina. È una cecità politica molto pericolosa.
Tornando alla Georgia?
In Georgia la forte ingerenza delle ONG si è innestata su una percezione già molto filo-occidentale e filo-europea, rafforzandone la spinta e aumentando la polarizzazione. Ma la Georgia coltiva realmente un sogno europeo, almeno dall’indipendenza nel 1991. Ripeto, i georgiani si considerano europei in quanto cristiani ortodossi e la bandiera dell’UE è affissa negli uffici della Georgia da decenni.
Adesso trovare una soluzione sembra molto, molto complicato.
Occorre solo sperare che la conflittualità non finisca nella guerra civile.
È questo il suo scenario?
È ciò che temo. C’è una forte passione politica, l’opposizione non riconosce la sconfitta, si fa forte della contestazione elettorale e della leadership di Zourabichvili. Soprattutto, sa di avere le spalle coperte da UE e Stati Uniti. Almeno verbalmente.
Perché “verbalmente”?
Quando la Georgia nel 2008 intraprese la guerra contro le due regioni secessioniste di Abkhazia e Ossetia Meridionale, credeva di godere della protezione americana, ma gli USA si guardarono bene dall’intervenire. E la Russia in cinque giorni vinse la guerra.
Cosa ci dice questo passato non così lontano?
Che in Georgia va trovata una soluzione politica, e bisogna farlo in fretta.
(Federico Ferraù)
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