BERLINO – Der König verneigt sich und tötet, il re s’inchina e uccide. È il titolo di un libro della scrittrice tedesca Herta Müller, premio Nobel per la letteratura. Il titolo mi è venuto in mente a proposito della clamorosa retromarcia di Angela Merkel sul lockdown, retromarcia che molti commentatori tedeschi hanno paragonato a una genuflessione davanti alle proteste e al caos che tale decisione rischiava di generare. “Se sbatti la testa contro il muro vince il muro” ha detto die Königin, la sovrana, come qualcuno chiama Angela Merkel, ai suoi stupiti ministri poco prima di fare l’annuncio ufficiale.
Eppure, soltanto 24 ore prima aveva dichiarato al popolo tedesco che “Adesso è giusto guadagnare tempo e aggiungerne due giorni di lockdown ai tre giorni di riposo pasquali in modo da poter abbattere la terza ondata”. Il che significava lockdown totale per cinque giorni di fila. E per la prima volta dall’inizio dell’epidemia è scoppiato il pandemonio. Da sinistra a destra, dai liberali ai conservatori, tutti hanno accusato la cancelliera di manifesta incapacità. Sulle campagne di vaccinazione che vanno a rilento, sul gigantesco flop dell’applicazione “Corona Warn up” che i tedeschi hanno installato poco e usato ancora meno perché la reputano inutile, e per il caos che avrebbe causato la chiusura dei supermercati a ridosso delle vacanze pasquali. “Non funziona niente” commentava il quotidiano Tagespiegel. “Nel campo digitale il fallimento dall’app corona dimostra che siamo rimasti indietro di 16 anni (il periodo del cancellierato Merkel) rispetto ai paesi più avanzati. Gli stati federali dormono, in tempi normali uno scandalo come quello delle mascherine avrebbe fatto dimettere immediatamente ministri e sottosegretari, invece sono ancora tutti al loro posto”. E concludeva che per evitare che la rabbia diventasse qualcosa di pericoloso occorreva un segnale forte della cancelliera.
Der König verneigt sicht, il re s’inginocchia, e il giorno dopo la sovrana annuncia che il lockdown pasquale “è stato un errore di cui mi assumo per intero la responsabilità”. Quel che colpisce però non è tanto la marcia indietro che comunque ha del clamoroso, quando la sua giustificazione. A un anno dall’inizio della pandemia, con l’esperienza di decine di riunioni di crisi e innumerevoli regolamenti entrati in vigore nel giro di poche ore che hanno bloccato interi distretti produttivi, ecco che improvvisamente questa volta la prospettiva di chiudere una settimana avrebbe causato “un costo troppo elevato a causa delle ore di lavoro perse perché non abbiamo considerato tutte le conseguenze”. Quindi la chiusura di cinque giorni sarebbe un costo troppo elevato da affrontare mentre quelle degli ultimi 12 mesi no. Qui la pezza non è peggiore del buco ma un buco più profondo.
Ciò che ha reso forte Angela Merkel è la certezza dei cittadini tedeschi che la Cdu fosse capace di gestire le crisi come nessun altro partito. Ogni tipo di crisi. Da quella dell’euro a quella del debito italiano a quella dei profughi. La Cdu era il partito della crisi e Angela Merkel era il suo leader. “Un anno fa in piena crisi Corona questa fiducia aveva fatto aumentare il sostegno popolare del governo e la perdita di quella fiducia ora lo sta facendo crollare”, scrive la Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Secondo un sondaggio dell’istituto demoscopico di Allensbach pubblicato dal quotidiano di Francoforte, a luglio 2020 il 78% dei tedeschi valutava positivamente l’azione del governo durante la crisi, ma a metà marzo 2021 il dato è crollato al 30% mentre un 62% la valutava negativamente. A crollare è soprattutto la fiducia nei partiti di governo con la Cdu-Csu che da febbraio a marzo perde quasi dieci punti percentuali. Allo stesso tempo il 57% dei tedeschi dichiara di non poterne più di lockdown e divieti mentre a maggio del 2020 era solo il 40% ad esprimere insofferenza. Le categorie che non ne possono più aumentano ogni giorno. Sono lavoratori autonomi, liberi professionisti, gestori di ristoranti e hotel, artisti, impresari teatrali, attori, registi. Tutta gente che a fine pandemia e a rubinetti statali chiusi, rischia di non avere più un lavoro. Per questa gente la linea dura usata fino ad oggi non ha più senso. E per una come Angela Merkel, paragonata da alcuni a un organismo inerte che diventa improvvisamente iperattivo quando rischia di perdere il potere, il crollo della fiducia è una iniezione di adrenalina.
Quindi per il momento la sovrana risponde inginocchiandosi ma non è detto che questo gesto sia sufficiente. Perché i motivi della crisi di fiducia forse risiedono proprio nel fallimento del metodo Merkel. Un metodo, fa notare il quotidiano berlinese Tagespiegel, di piccolo cabotaggio, un navigare a vista ispirato al micro-management che evita i rischi, sta alla larga da grandi decisioni e cerca sicurezza in un apparato burocratico che sa solo sputare nuovi regolamenti che minano i diritti fondamentali.
E quindi sì, si può dire che in Germania c’è caos. Con buona pace di quelli che da noi, forse mossi da un sentimento di soggezione culturale nei confronti di un mondo, quello tedesco, che conoscono solo sulla carta (e nemmeno tanto bene si direbbe, visto che scrivono Schadenfreude minuscolo), prendono ogni critica al sistema tedesco come un atto di lesa maestà. Perché secondo costoro è impossibile criticare la Germania da una prospettiva italiana, viste le condizioni in cui versa il nostro paese. Vai a spiegargli che critica significa, per dirla con Kant, stabilire ciò che possiamo conoscere con certezza, e che si tratta di una cosa molto diversa dal paragonare tra di loro due paesi o due grafici.
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