Le ultime evoluzioni della politica tedesca, dopo il caso delle dimissioni in Turingia, non occupano le prime pagine dei giornali italiani e sembrano passate in secondo piano anche per la stampa economico-finanziaria specializzata. In realtà le cose stanno diversamente e l’episodio sicuramente non è sfuggito agli “investitori”. Lo sappiamo per certo perché ieri uno degli editorialisti di Bloomberg, John Auters, dopo quasi 30 anni al Financial Times passati come responsabile dei commenti sui mercati e della mitica Lex, commentava la vicenda con questo titolo: “Le cose stanno precipitando per la moneta unica europea”; sottotitolo: “Il tramonto dell’euro”. Il salto tra le vicende politiche di un piccolo Stato tedesco e “la tenuta dell’euro” appare a prima vista senza senso; intanto registriamo che per la comunità degli investitori il collegamento è un argomento di cui si legge su un organo di informazione “mainstream” e quotato.



L’editorialista “registra” il caos nella Cdu, che ieri nei sondaggi appariva il vero perdente di tutta la vicenda, e lo somma ai risultati delle elezioni irlandesi; poi elenca i dati tragici sulla produzione industriale di Germania, Francia e Italia. Il peggio evidentemente deve arrivare perché “l’eurozona non sarà un rifugio dai problemi dell’economia cinese”, visto che “purtroppo per l’Europa la Germania si è messa nelle condizioni di dipendere dalla Cina”. Ma andiamo avanti. “L’Europa, la cui valuta comune era stata pensata per lanciare una sfida all’America, si sta rivelando un modello politico gravemente fallato, con un’economia strutturalmente messa alla prova”. Il salto logico non è esplicitato; non è esplicitato perché la crisi dei partiti che hanno guidato l’Europa e le sfide del nuovo mondo del dualismo Cina e Stati Uniti abbiano come conseguenza “il tramonto dell’euro”.



Per un investitore però lo scenario è chiaro. Dato che il sistema dell’euro è gravemente fallato, dato che il suo modello economico è perdente, con le sfide attuali economiche e politiche le contraddizioni del progetto sono destinate a esplodere. Notate, tra l’altro, come la diagnosi sull’Unione europea, sulla sua economia e sul suo modello politico, non necessitino nemmeno di una spiegazione; sono un dato di fatto che si dà per assodato. La politica “tradizionale” europea annaspa e paga perché nessuno può toccare l’idolo dell’Unione europea, del suo modello economico e politico. Nessuno può toccare l’idolo di Angela Merkel che incarna 20 anni di euro.



Non potendo o non volendo fare i conti con gli errori, per esempio la gestione della crisi del 2008, per esempio quella dei debiti sovrani del 2011, per esempio un meccanismo ingessato in cui una misura per tutti non va bene a nessuno o un modello economico tenuto in piedi grazie all’austerity della periferia e alla svalutazione dell’euro, allora improvvisamente non sai più cosa dire e come spiegare quello che succede. Altrimenti dovresti dire di aver sbagliato tutto con l’unico dettaglio che i primi a dirtelo sono proprio quelli che ti votano, quando e se possono. E infatti il mantra dell’”establishment” diventa la necessità di difendere la democrazia dalle elezioni.

Chi spiega oggi ai tedeschi che la Germania con l’euro ha fatto una fortuna colossale ma nel frattempo l’ha ammazzato dopo due decenni in cui la politica tedesca ha dato la colpa agli italiani? Solo che gli italiani li puoi punire con lo spread, giusto o sbagliato che sia, ma gli squilibri interni non sono sanzionabili.

Il riflesso sulla politica italiana è evidente. Per 20 anni ci hanno spiegato che l’Unione europea era l’unico orizzonte possibile, che ogni sacrificio valeva la pena, che non c’era niente al di fuori di questa costruzione. Anzi, se la Gran Bretagna esce si troverà immediatamente distrutta. Oggi tutto ruota intorno all’Unione europea; il dibattito sulle patrimoniali lacrime e sangue dopo tassazioni oltre ogni limite è alla luce del sole. Questo è quello che “dobbiamo” fare per stare nell’euro. Ed è proprio così al netto di governi, per esempio l’attuale, che in questa fase riesce ad ammazzare un paio di distretti industriali, con la plastic tax, quello già martoriato delle costruzioni, con le norme sui contributi e in più abolisce la flat tax che avrà come unico risultato il rifugio nel nero.

Tutto si sopporta perché questo è il Governo “dell’Europa”; anche la subordinazione agli interessi di governi “nemici” su Libia o Egitto. Bisognerebbe però spiegare agli italiani che il costo di questa operazione non solo sarà una patrimoniale colossale, ma che l’euro e l’Europa rimangono il disastro che sono con l’aggiunta del nostro ruolo “junior” nella costruzione.

Cambia l’euro prima di scoppiare o gli eventi presenteranno a tutti il proprio conto? Tenete presente che la finanziaria del Governo si basa su una crescita del Pil, un rinvio dell’Iva da “graziati” e che Germania e Francia, vista la situazione, vogliono essere sicuri di non perderci per tenere in piedi la costruzione. Noi quanto abbiamo perso e quanto ancora dovremo perdere? Ormai è assodato che nel 2011 l’euro ha tirato un calcio al barattolo proprio grazie all’austerity della periferia e in particolare degli italiani solo che il surplus interno tedesco è solo salito… Bastava esportare di più in Cina. Giusto?