Saranno le prossime ore a mostrare se la tensione attuale fra Israele e Hamas sfocerà in una guerra vera e propria, che secondo alcuni osservatori è già cominciata con il primo lancio massiccio di missili da Gaza, come non succedeva dal 2017. Si contano già numerose vittime, quattro fra gli israeliani, e circa una trentina tra i palestinesi, fra cui diversi bambini dopo i raid aerei in risposta. Gli scontri tra la polizia israeliana e i palestinesi, cominciati da settimane in seguito alle provocazioni della destra più radicale israeliana, e il tentativo di sfratto di alcune centinaia di famiglie arabe che vivono a Gerusalemme Est da oltre cinquant’anni per dare le loro case agli israeliani, si sono trasformati in un conflitto aperto: “C’è sicuramente la possibilità che l’esercito israeliano possa attaccare e invadere la Striscia di Gaza”.
Questo perché, dopo i recenti accordi di amicizia tra diversi paesi arabi e Israele, nessuno è più interessato a difendere Hamas. Anzi, eliminarlo farebbe piacere a tutti” ci ha detto il giornalista egiziano Sherif El Sebaie, opinionista ed esperto di diplomazia culturale e rapporti euro-mediterranei. Ma anche Hamas non sembra voler fare marcia indietro: i suoi capi, che dal 2007 comandano su due milioni di palestinesi racchiusi nella Striscia, hanno questa volta rivendicato tutte le operazioni.
Israele sta spostando un’ingente forza militare verso i confini con la Striscia, oltre ai raid aerei già in corso. La situazione è ormai sfuggita di mano? C’è la possibilità effettiva che Israele attacchi?
Molto difficile rispondere, come resta difficile la questione arabo-israeliana. La possibilità che Israele intervenga militarmente invadendo Gaza è da contemplare. Probabilmente risolverebbe il problema della sicurezza di Israele, perché la presenza di Hamas e l’autonomia di cui gode a Gaza ne hanno fatto una minaccia costante. E’ vero che erano anni che non lanciavano missili, ma lo si è visto adesso come basti qualsiasi pretesto per riprendere l’attività militare.
Hamas al momento non sembra voler fare marcia indietro. È il segnale che non vuole allentare la tensione?
Hamas si sta muovendo in modo tale da mantenere il suo status, la sua immagine di resistenza del mondo islamico. Probabilmente una invasione israeliana farebbe piacere a diversi paesi arabi, che con Hamas non hanno alcun rapporto e sono costretti ad accettarne la presenza, sicuramente quei paesi arabi che hanno in questo momento rapporti politici, che potremmo definire ideali, con Israele e che hanno normalizzato i rapporti con Israele per motivi geostrategici sicuramente più importanti di Hamas.
Hamas è poi considerato una propaggine dell’Iran, giusto?
Infatti. Un attacco ad Hamas farebbe comodo anche all’Autorità nazionale palestinese, perché – come sappiamo – eravamo in periodo elettorale, elezioni poi rimandate pare proprio perché Hamas sarebbe risultato vincente. Se le elezioni saltassero del tutto o se Hamas venisse cancellato dall’equazione elettorale, sarebbe una grande vittoria. Per cui la risposta alla domanda se Israele possa intervenire con una invasione militare è: sì, perché farebbe comodo a tutti e non ci sarebbe una grande opposizione a livello politico.
Andando un attimo a ritroso, si può dire che questa situazione sia stata creata dal vuoto di potere esistente in Israele ormai da anni, dall’impossibilità di creare un governo stabile, e che la situazione arabo-israeliana sia stata per così dire dimenticata?
Oltre a questo, bisogna sottolineare il ruolo della destra estrema, che è sempre più importante nella costituzione di qualunque governo. Le misure che vengono adottate per accontentare quella parte della politica finiscono per complicare la politica del paese.
Ad esempio l’esproprio a Gerusalemme Est di diverse famiglie arabe per far posto agli ebrei?
Esattamente.
Si può dire che i Patti di Abramo di fatto hanno isolato i palestinesi rispetto al mondo arabo?
Certamente la causa palestinese è passata in secondo piano. Fin quando i rapporti con Israele erano freddi, la questione palestinese rivestiva una qualche importanza, ma nel momento in cui si stringono rapporti cordiali, è chiaro che, non fosse altro che per motivi di opportunità, la questione palestinese e quello che sta succedendo in queste ore passano in secondo piano. La copertura mediatica nei paesi arabi è molto inferiore a quella che ci sarebbe stata se non fosse stata avviata questa normalizzazione dei rapporti. E’ un indizio abbastanza chiaro che i paesi arabi, proprio per preservare la sostanza di questi patti, non hanno intenzione di calcare troppo la mano.
L’amministrazione Biden, a parte qualche dichiarazione di circostanza, non si esprime. Chi si aspettava che Biden dopo Trump cambiasse la politica americana è rimasto deluso. E’ vero, secondo lei, che non farà niente per cambiare i Patti di Abramo?
Certamente. La sicurezza di Israele è sempre stato un pilastro fondante della politica americana in Medio Oriente e non sarà certo un cambio di presidenza a mettere questo in discussione. Tra l’altro, è ben noto che qualunque candidato americano, se vuole qualche opportunità di vincere, parte sempre da dichiarazioni di sostegno incondizionato a Israele. I democratici hanno un margine un po’ più ampio di critica, ma nei momenti in cui Israele si sente in pericolo o viene attaccato, non credo che nessuna amministrazione americana metterebbe in discussione il diritto di Israele di rispondere o intervenire.
(Paolo Vites)
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