“Quello che stiamo vivendo oggi in Italia è un passaggio drammatico: vorrei poter sperare che si trovi una soluzione a tutta la politica italiana. Ma sperare è un atto di volontà. La giustizia ha messo in crisi la politica e la politica trascina nel pantano la giustizia: adesso stanno entrambe nel pantano”. Sul cortocircuito che ha colpito magistratura, politica e giornalismo è duro il giudizio di Calogero Mannino, esponente Dc con orientamento di sinistra, deputato per sei legislature e cinque volte ministro. “Il circuito mediatico-giudiziario è un nodo gordiano: o si scioglie o si taglia. Io credo che si aggraverà la crisi della giustizia”. Quel che sta succedendo all’interno dell’Anm dimostra che oggi “si sono formati gruppi di potere che gestiscono gli interessi diretti e immediati. È un potere che è al di fuori della Costituzione. Tutto questo è l’ultimo aspetto di una crisi istituzionale, oltre che politica, che ha investito il paese in modo estremamente grave”. Come se ne può uscire? “Mi pare che sia necessaria una riforma della legge elettorale del Csm e che sia necessario rafforzare il potere del presidente del Csm, cioè del presidente della Repubblica, che non è un ‘cappello’”. Ma il governo giallo-rosso, così diviso e incerto su tutto, avrà la forza di guidare la transizione verso un nuovo assetto del Csm? “Non ne ha la forza”, anzi “farà di tutto, nell’interesse di potere, soprattutto da parte del Pd, per arrivare alla fine della legislatura”.



Che cosa sta succedendo all’interno dell’Anm? Perché si è arrivati a questo terremoto?

Le cause immediate non credo di saperle precisare, oltre a quelle che sono sui media.

Quindi non è tutto partito con il caso Palamara?

Ci sono cause remote. E sono collegate alla piega che la fu azione rappresentativa per l’autogoverno della magistratura ha preso negli ultimi anni.



Quale piega?

In partenza le correnti avevano un riferimento politico e di partito, spesso anche culturale e di dottrina. La maggiore influenza a livello di Csm è stata sempre quella del Partito comunista. La linea di collegamento tra correnti diverse è stata sempre assicurata dalla mediazione del Pci. Vorrei che non si dimenticasse che la candidatura di Giovanni Falcone a capo dell’ufficio istruzione a Palermo fu bocciata con i voti degli esponenti della corrente di sinistra.

E oggi?

Oggi che mancano i riferimenti a quel minimo di politica che era rappresentato dai partiti, i sostituti dei partiti sono all’interno della magistratura.



Che partiti sono?

Sono corporazioni, o forse meglio gruppi di potere, che gestiscono gli interessi diretti e immediati. E fosse questo, già sarebbe molto, ma è quasi niente di fronte al fatto che il Csm, e l’organizzazione delle relazioni tra i vari uffici della magistratura, nel corso del tempo, è stato sempre più nelle condizioni di esercitare un’influenza, anzi un condizionamento dell’attività politica.

Per esempio?

Basterebbe far riferimento a quest’ultima intercettazione telefonica che riguarda Salvini. Un magistrato, cioè, può osservare che al di là del fondamento di diritto e di legalità della sua posizione, Salvini vada comunque perseguito.

Questi gruppi sono diventati, dunque, gruppi di potere?

Sì. È chiaro, però, che il discorso non riguarda l’intera magistratura, riguarda queste parti organizzate. Ma c’è ancora un anello fondamentale.

Quale?

Era già stato analizzato alla fine degli 70 da un saggio molto lucido di un avvocato francese, il quale aveva parlato “del circo mediatico-giudiziario” e di recente da Filippo Sgubbi con un bel libro, Il diritto penale totale. Quando si stabilisce questo circuito, l’autorità, cioè il punto di decisione e di dominio, non è più interno alla magistratura, è esterno.

Perché la vicenda non merita le prime pagine dei giornali e i titoli d’apertura del tg? È un problema sottovalutato nella sua gravità?

Ci sono giornalisti e due o tre giornali che, palesemente, sono in condizione di esercitare un’influenza decisiva sulle scelte che poi il Csm adotta. Come dimostrano le ultime intercettazioni, le battaglie girano sempre attorno alle Procure della Repubblica.

Perché?

È l’ultimo aspetto del problema. Questi gruppi di potere, da un lato, organizzano le carriere dei loro aderenti secondo preferenze molto discrezionali, ma soprattutto cercano di controllare le procure, perché sono ormai gli uffici in cui si esaurisce la funzione giurisdizionale: un avviso di garanzia è un processo e una condanna, è uno strumento con cui si liquida un’opposizione politica.

Tutto ciò è molto poco rispettoso di quanto prevede la Costituzione, non crede?

È uno stravolgimento dell’assetto costituzionale del paese a tal punto che sempre più la posizione di anello verticale della presidenza del Csm – una tendenza già aperta al tempo di Cossiga, ma Cossiga la dominava con la forza della sua personalità – si relativizza, perché il gioco di questi gruppi di potere è che le nomine si fanno seguendo le loro logiche interne. Chi non intende per nulla rivolgersi a queste correnti, pur essendosi fatto onore nell’esercizio della sua attività, non fa carriera, come dimostrano molti casi noti.

Ma il Csm a cui pensavano i costituenti non era ben altra cosa?

Il Csm previsto dalla Costituzione – ed è stata una scelta molto saggia – intendeva garantire l’autonomia della magistratura. Ma oggi l’autonomia è diventata uno strumento ripiegato sul dominio di una parte della magistratura sull’altra parte. Il potere dei sostituti e dei procuratori della Repubblica a volte eccede nel rapporto con i giudicanti. La corsa, infatti, è per andare nelle Procure e non nei tribunali.

È un quadro molto allarmante…

È un potere che è al di fuori della Costituzione. Credo che tutto questo sia l’ultimo aspetto di una crisi istituzionale, oltre che politica, che ha investito il paese in modo estremamente grave.

Alcuni osservatori hanno sottolineato il silenzio del presidente Mattarella. Come va interpretato?

Il capo dello Stato è una persona molto prudente, molto paziente, molto discreta. Non si abbandona a gesti immediati e inconsulti. Il suo giudizio sarà molto consapevole e molto preoccupato per la gravità della crisi e misura le possibilità di intervento, anche se con il rischio di un immobilismo temporaneo. Non è una situazione che si possa coprire con una pezza.

Se non si ritorna a una regola, a una disciplina costituzionale quali potrebbero essere gli effetti?

Le conseguenze saranno disastrose per la vita della democrazia in Italia.

Come si può spezzare questo groviglio?

Mi pare che sia necessaria una riforma della legge elettorale del Csm e che sia necessario rafforzare il potere del presidente del Csm, cioè del presidente della Repubblica, che non è un “cappello”.

In che modo lo si può rafforzare?

C’è una parte dei poteri che deve essere esercitata direttamente, come prevede la Costituzione.

La riforma del Csm è un argomento aperto da anni e molto discusso. Il ministro Bonafede è intenzionato a presentare una proposta già la prossima settimana. Sarà la volta buona, dopo il putiferio che si è scatenato?

Per quello che è accaduto in queste settimane non so se il ministro Bonafede abbia tutte le condizioni politiche per essere il proponente di questa riforma. C’è un problema che lo riguarda e che non ha saputo risolvere: in termini banali, o una bugia è stata detta da lui o una bugia è stata detta da chi lo accusava. Questo pasticcio non lo rende autorevole.

Visto che il tema giustizia in Italia è sempre incandescente, un governo diviso e incerto su tutto riuscirà nell’impresa di dare un nuovo assetto al Csm?

Non ha la forza per affrontare questo nodo. Questo governo e le forze che lo compongono hanno trovato il comune denominatore nella demonizzazione di Salvini. Questo basta per tenerli in piedi. Nel post-Covid, poi, bene o male ci saranno risorse da gestire e il governo farà di tutto, nell’interesse di potere, soprattutto da parte del Pd, per arrivare alla fine della legislatura.

Come si possono chiudere le porti girevoli, cioè il passaggio dalla magistratura alla politica?

Si tratta di disciplinare l’organizzazione del sistema giudiziario, prevedendo la possibilità e l’impossibilità.

In concreto?

Punto primo: se uno è stato sostituto o procuratore della Repubblica, non può essere candidato prima di 5 anni dall’uscita dal proprio incarico. Secondo: non ci si può candidare nei collegi di riferimento del collegio elettorale, cioè se uno è stato sostituto procuratore della Repubblica a Palermo non può essere candidato in Sicilia.

All’interno della riforma dell’ordinamento giudiziario c’è un altro punto indispensabile?

La distinzione, almeno, se non la separazione, delle carriere. L’ufficio del pubblico ministero deve essere ricondotto al profilo che la Costituzione e i codici gli affidano. Ma anche qui non c’è la forza politica necessaria per realizzarla.

Il nodo rischia quindi di restare aggrovigliato ancora per lungo tempo, nonostante si sia arrivati a queste degenerazioni?

Il circuito mediatico-giudiziario è un nodo: o si scioglie o si taglia. E un nodo gordiano. Io credo che si aggraverà la crisi della giustizia, nonostante che larga parte della magistratura svolga la propria funzione e il proprio lavoro con dedizione e professionalità.

Questo è un vero paradosso: perché la parte sana, maggioritaria, della magistratura subisce tutto questo?

Perché sono quei magistrati che hanno il senso del limite della loro funzione e hanno come riferimento assoluto della propria condotta il criterio di legalità, che diventa anche criterio etico. Sono i magistrati più composti, dediti seriamente al lavoro, che si esprimono con sentenze, sia nel civile che nel penale, che sono dei veri monumenti anche di dottrina. Questo dovrebbe essere il magistrato.  

Dal caso Palamara a oggi quanto escono compromessi il prestigio e la credibilità della magistratura presso l’opinione pubblica?

Il primo errore di prospettiva commesso da alcuni magistrati di alcune procure della Prima Repubblica è stato inseguire la popolarità. È stata la prima causa dei populismi dirompenti. Basta riandare ad alcune conferenza stampa di alcuni magistrati della Procura di Milano ai tempi di Mani Pulite. Hanno rotto la regola formale, di cui tutte le funzioni istituzionali hanno bisogno. Erano diventati tribuni della plebe? Allora non erano più, e non sono più, magistrati.

(Marco Biscella)