“Palamara non c’entra, questo è il caso magistratura” dice Frank Cimini, una vita nella cronaca giudiziaria, a cominciare da quel che succede nel palazzo di giustizia di Milano che frequenta dal 1977. Non solo Palamara; Davigo, il Csm, Mattarella, Sala, le tangenti della metro di Milano, la magistratura associata (“quella che fa politica tutto il giorno”), Cimini ne ha per tutti. Ed è pessimista. Certo la corruzione va combattuta, “ma non con la logica che i magistrati salvano il mondo”.



Cosa pensi di come si sta mettendo il caso Palamara?

Palamara non c’entra, questo è il caso magistratura.

Ma lui è il bubbone, no?

Lo fanno sembrare il bubbone. È la strategia della mela marcia: corrotto lui, buoni noi. Falso. È marcio tutto. Sarebbero 84 i magistrati piazzati in posti di rilievo da Palamara. Vuol dire che ha avuto almeno 84 complici, o no? Questo non è Palamara, è il sistema.



Solo che adesso, grazie a Palamara, è venuto alla luce.

È successo perché c’era il trojan nel suo cellulare. Chi di spada ferisce, di spada perisce. Però si intercetta troppo. La sentenza Cavallo della Corte di Cassazione del gennaio scorso è chiara: non si possono usare le intercettazioni in un’inchiesta su un reato diverso dal quello per cui sono state autorizzate.

E invece?

Guarda i dati di Napoli: la Procura ha speso 12 milioni in un anno per tenere sotto controllo poco più di 2mila utenze. Bisognerebbe ripensare tutto. Non è solo un problema di rivedere il sistema di elezione del Csm, quello è un fatto tecnico. C’è prima un problema di cultura, di mentalità.



D’accordo, il Csm verrà per ultimo, però il nodo va affrontato.

Si potrebbero sorteggiare i candidati da eleggere, o viceversa. Un sorteggio dovrebbe esserci, per non lasciare tutto agli accordi sottobanco, ma il solo sorteggio non va bene perché andrebbe incontro al pregiudizio di incostituzionalità.

Sorteggio anche per i capi degli uffici giudiziari?

Anche per loro. E comunque non si risolve così il problema. Tutti in qualche modo minimizzano, anche Mattarella, che parla di distorsione, di degenerazione.

Eppure la “modestia etica” di certi personaggi è fuori discussione.

Il problema vero è che la magistratura ha acquisito troppo potere. Alla fine degli anni 70, con il terrorismo e la legislazione di emergenza la politica ha delegato i suoi compiti al codice penale. Non è che non devi processare chi ha rapito e ucciso Moro, ma devi comunque fare la tua parte.

Cosa significa?

Vuol dire che servivano anche iniziative di tipo politico. Invece da allora la sovversione politica è stata trattata solo come un problema penale. Si sono approvate delle leggi che venivano chieste dai capi degli uffici giudiziari. La legge antiterrorismo di Cossiga è del 1980, quella sui pentiti del 1982.

Allora che tutto comincia molto prima di Tangentopoli.

Certo. È in quegli anni che la magistratura ha acquisito un potere enorme, e quando nel ’92 la politica si è indebolita, la magistratura le ha puntato il coltello alla gola e le ha detto: adesso comandiamo noi. E non se ne esce.

E adesso?

Adesso, con il trojan nel cellulare di Palamara, viene fuori che i magistrati quando emettono le misure cautelari si piccano anche di dare lezioni di morale. Ma non sono meglio dei politici, sono peggio.

Perché?

Perché i politici, bene o male, sono stati eletti. I magistrati hanno soltanto vinto un concorso. Che autorità hanno per sentirsi i padroni del mondo?

Palamara cosa dirà?

Palamara non parla. La sua forza è quella di dire: “adesso parlo” e poi tacere.

Qual è il messaggio?

Il messaggio è: ho sbagliato, ma non ho sbagliato da solo. Perché mi cacciate se siete come me o peggio di me? E infatti quando lo accusano di corruzione, lui cosa fa? Cominciato a lanciare messaggi.

La contropartita per tacere?

Gli hanno risparmiato le manette per paura che parlasse. L’esatto opposto di quello che succederebbe a me e a te. E adesso la sua forza è che potrebbe parlare ma non parla.

Che cosa vuole?

Sta trattando per rientrare. Dice all’Anm: non ho fatto niente di diverso da quello che avete fatto voi.

Ma che cosa avrebbe da dire?

Non lo sappiamo, anche se avremmo il diritto di saperlo. Quando Cafiero de Raho gli dice che “dobbiamo lottare insieme” o quando Francesco Greco gli dice “ci vediamo al solito posto”, in un’inchiesta normale, se tu e io diciamo queste cose e ci stanno intercettando, il pm vuole sapere qual è “il solito posto” e di quale battaglia stiamo parlando, o no?

Come andrà a finire questa storia?

Alla fine non succederà niente. Stanno gattopardando. Poniz crede di cavarsela dicendo che il corpo della magistratura è sano, ma chi ha mai messo in dubbio che una buona parte di magistrati facciano il loro lavoro in silenzio? Il problema è che la magistratura è rappresentata da questi qui, ed esercita potere sulla politica grazie a questi qui, a quelli come Palamara più gli altri 84. In realtà sono molti di più.

Ne abbiamo citati diversi. Palamara, de Raho, Greco, Poniz… E Ferri?

Ferri è l’unicum per eccellenza. Metà magistrato e metà politico, non si capisce bene se fa il magistrato o fa il politico…

C’è una via di uscita, una soluzione?

Al momento non la vedo. Il sistema appare irriformabile. Anche il consigliere giuridico di Mattarella, Erbani, è finito nelle captazioni.

Perché, con la magistratura così debole, la politica non fa una riforma?

Perché è troppo debole anch’essa. E poi continua nelle ruberie. I politici sono ricattabili. Nemmeno quelli di Forza Italia pongono più il problema della magistratura. Temono che partano subito le inchieste.

Cosa pensi della vicenda dell’emendamento presentato da FdI e Pd per prolungare la carriera dei magistrati a 72 anni?

Non penso nulla. Però c’è da dire che Davigo ha 70 anni, e se va in pensione a 70 anni, come dice la legge attuale, gli subentra al Csm uno che non è della sua corrente.

Gian Carlo Caselli si è lamentato del poco spazio che i giornali hanno dedicato alle tangenti sugli appalti per la metro di Milano. Avrebbe meritato almeno lo spazio concesso all’arresto di Emilio Fede, perché è un fatto grave che ricorda Tangentopoli.

Questa storia della metropolitana non c’entra niente con Tangentopoli, allora erano soldi per i partiti, qui sono soldi presi per avidità personale da funzionari che parlano al telefono facendosi degli autogol clamorosi.

Però è sempre corruzione.

La corruzione c’è sempre stata, anche prima del ’92, quando le procure, quella di Milano in testa, facevano finta di non vederla perché non avevano forza politica.

Non va sempre perseguita?

Certo, ma non con la logica che i magistrati salvano il mondo. Nessuna inchiesta o processo sconfiggeranno per sempre la corruzione.

“La giustizia farà il suo corso ma per me è già una condanna” ha detto Beppe Sala.

Che cosa dicevo della politica? La metropolitana è una società partecipata del Comune, se non ci sono gli anticorpi nella pubblica amministrazione, la responsabilità politica è anche di Sala.

Cosa dici della guerra di carte bollate per la poltrona di capo della procura di Roma?

Vuoi sapere come finisce? Che il Csm se ne frega del ricorso al Tar di Viola e Creazzo contro Prestipino. La magistratura associata, quella che fa politica ogni minuto del suo tempo, voleva la continuità con Pignatone. Il tempo di fare due giochetti e come al solito ha vinto.

C’è un’alternativa?

È dal ’77 che sto in tribunale a Milano e fino ad oggi il capo della Procura è sempre stato un interno. Per dare una ventata di aria fresca sarebbe auspicabile che venisse uno da fuori. Invece no. Dopo Gresti è toccato a Borrelli, D’Ambrosio, Minale, Bruti Liberati, Greco.

Non abbiamo parlate dei media. Spesso a braccetto con le procure.

Minale, il presidente della Corte d’assise che condannò Sofri in primo grado, si vide accolta la domanda per andare in procura come pm mentre faceva il processo. S’è vista mai una cosa del genere? Giudicava il lavoro dell’ufficio che sarebbe andato a dirigere come aggiunto.

E poi?

A seguire il processo Sofri c’era Rossana Rossanda, che rimase allibita e sul Manifesto difese la separazione delle carriere. Finito il processo Sofri, riprese a scrivere quello che il Manifesto ha sempre scritto, e cioè che la separazione delle carriere era nel programma piduista di Licio Gelli. Ecco, il paese è ancora questo.

(Federico Ferraù)