In Commissione Antimafia nuovo capitolo dello scontro tra l’ex pm di Palermo e oggi membro del Csm, Nino Di Matteo, e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Proprio Di Matteo ha voluto quella sede per discutere il contrasto in corso che ha portato il Guardasigilli ad affrontare una mozione di sfiducia, poi respinta dal Senato. Uno scontro che nasce dalla proposta del ministro al magistrato palermitano, nel 2018, di diventare capo del Dap, idea cambiata il giorno dopo con la proposta di affidargli la direzione degli Affari penali, incarico rifiutato da Di Matteo. “Ci sto rimanendo male… sappia solo che per la direzione degli Affari penali non ci saranno dinieghi o mancati gradimenti che tengano” gli disse Bonafede. Sono queste parole che Di Matteo chiede che vengano chiarite. Adesso, però, Di Matteo non parla più di rapporti con la mafia, quelli che aveva ipotizzato in occasione della scarcerazione dei boss per il Covid, “ma di qualcuno che, se avesse avuto elementi, avrebbe denunciato”. Per Frank Cimini, giornalista che ha seguito sin dall’inizio il caso Tangentopoli, “Di Matteo cerca di salvare il salvabile. Una cosa è certa: tra lui e Bonafede, uno dei due mente”.



Di Matteo fa dietrofront, non chiama più in causa la mafia, bensì un misterioso personaggio che gli avrebbe soffiato il posto come capo del Dap. Qual è la sua impressione?

Di Matteo cerca di salvare il salvabile, però il problema di fondo tra lui e Bonafede è che uno dei due mente. Questa storia e quanto avvenuto non sono mai stati chiariti. Di Matteo, oltre che pubblico ministero, siede anche nel Consiglio superiore della magistratura, e non può fare questo tipo di dichiarazioni. Guardiamo cosa ha detto Sebastiano Ardita (consigliere del Csm, ndr) a proposito di Carminati: non poteva uscire dal carcere. Ma è uscito, solo grazie a un formalismo, applicando una legge dello Stato che prevede dei paletti di tempo sulla custodia cautelare. Questo non è formalismo, questa è legge.



Quindi il caso che sviluppi potrà prendere?

È un circolo vizioso, tutto collegato alla pancia del paese, costruito dalla politica, dalla magistratura e dai giornali. Le responsabilità del paese si costruiscono con titoli di giornale per attirare questa pancia a cui tutti poi si richiamano.

Nella nostra ultima recente intervista lei aveva detto che l’unico che poteva fermare il caos della magistratura era Mattarella. Adesso il Capo dello Stato ha parlato. Ritiene abbia detto quello di cui c’era bisogno?

Ha un incarico che comporta precisi doveri, che non riesce a soddisfare non solo per colpa sua, ma non può parlare di degenerazione e distorsioni, qui siamo davanti a un sistema, come quando si parlava di servizi segreti deviati. I servizi segreti deviati non sono mai esistiti, esistono solo i servizi segreti e basta. Questo modo di parlare è un modo per minimizzare la questione.



Queste distorsioni fanno parte quindi direttamente della politica e del governo di turno?

Il sistema è sotto gli occhi di tutti. È venuto a galla grazie a un meccanismo dove ci sono limiti di legge che con l’introduzione dei troian vengono valicati. Ma tutti sapevano anche prima dell’estate scorsa che si parla di nomine a pacchetto, di giochi poco puliti, di magistrati che pensano a tutto tranne che ad amministrare la giustizia. Sono cose di dominio pubblico, perché alcuni giornali hanno pubblicato le cose della prima ondata, e i giornali hanno un rapporto di collusione organica con le procure.

Ad esempio?

Continuano a titolare “Mafia capitale” anche dopo che la Cassazione ha sancito che non era mafia. Gli articoli sono scritti in modo corretto, ma i titoli no, la gente non legge gli articoli e il messaggio che arriva è che si tratta, appunto, di Mafia capitale.

Da questo caos come si esce?

Se Mattarella minimizza il problema, non se ne esce.  Credo che il sistema, in questo momento, non sia riformabile, la politica è troppo debole, nel senso che è ricattabile, perché i politici continuano nelle ruberie, e non è in grado di tenere i magistrati al loro posto, perciò fanno quello che vogliono fare: indagini che vengono avviate perché gli conviene e altre che non partono perché non le vogliono fare. Non è un problema elettorale, quella del sorteggio è una stupidaggine. E non è un problema tecnico. Solo la politica può risolverlo, ma è troppo debole.