L’epidemia del coronavirus ha fatto ammalare un settore chiave dello Stato, quello della giustizia, che già aveva una salute precaria. Un pezzo delle istituzioni potrebbe franare se non si corre presto ai ripari.
Il termine disruption è da qualche tempo particolarmente in voga nel settore economico-finanziario e sta ad indicare cambiamenti inaspettati che impongono un nuovo modo di operare rispetto al passato, mettendo in discussione lo status quo. L’esempio noto è quello di WhatsApp che ha profondamente cambiato il nostro modo di comunicare e conseguentemente il mercato della telefonia.
Non c’è dubbio che l’emergenza sanitaria costituisca un’occasione purtroppo tragica di disruption anche per il settore della giustizia: una congerie di norme emanate in uno strettissimo lasso di tempo da parte dell’esecutivo mediante lo strumento del decreto del Presidente del Consiglio o del decreto legge; un profluvio di protocolli predisposti dai capi di ogni ufficio giudiziario, con il nobile intento di evitare il contagio, ma con l’effetto di moltiplicare in ciascuna sede le norme di rito che regolano la celebrazione dei giudizi (utilizzo di piattaforma telematica oppure abolizione totale dell’oralità per il civile e l’amministrativo, e, in ogni caso, individuazione delle priorità dei processi che si possono celebrare, rinvio per gli altri).
La situazione è quella di una sostanziale stasi, sia perché si celebrano pochi giudizi sia perché le attività degli uffici amministrativi che devono garantire i servizi a sostegno del funzionamento della giustizia vanno molto a rilento.
Il settore che maggiormente ne risente è quello penale, giacché il processo da remoto in una democrazia liberale è ontologicamente incompatibile con l’applicazione di sanzioni restrittive della libertà personale e non ci sono strutture adeguate a poter garantire lo svolgimento ordinario delle udienze.
Diversa la tendenza nella giustizia amministrativa, in cui l’attività è proseguita, sperimentando la soluzione dell’eliminazione tout court dell’oralità e, quindi, della partecipazione fisica degli avvocati, con camere di consiglio per i giudici mediante collegamento a distanza. L’eliminazione degli avvocati all’udienza non avrebbe, però, retto alla verifica delle garanzie, nonostante l’emergenza ed è stato necessario aggiustare il tiro.
Ora gli avvocati potranno partecipare, anche se non sempre, all’udienza mediante l’utilizzo della nota piattaforma gestita dalla Microsoft, come avviene per i casi consentiti già nei giudizi penali e civili. Lo stoccaggio dei dati sulla piattaforma avviene, però, negli Stati Uniti, in cui vige il cosiddetto Cloud Act dal 2018, con la possibilità di un diverso utilizzo degli stessi dati rispetto a quello previsto dalla disciplina europea e, quindi, il nostro Garante per la privacy ha invitato il 19 maggio scorso gli organi di giustizia amministrativa a dotarsi di una propria piattaforma nazionale.
In ogni caso, il comparto della giustizia è colpito al cuore e il decreto Rilancio offre come supporto lo stanziamento per l’assunzione di nuovo personale, ma speriamo che ciò possa risultare utile a favorire il cambiamento.
Nel frattempo, la ripartenza passa anche attraverso lo spauracchio delle nuove responsabilità derivanti dalla gestione dell’emergenza, in relazione alle quali si invocano scudi legislativi da più parti.
Innanzitutto, per i medici e gli infermieri che hanno fronteggiato, si è detto in modo eroico, l’epidemia, ma che potrebbero essere destinatari di azioni risarcitorie proprio per tale attività.
In secondo luogo, per gli imprenditori, impegnati nelle loro aziende ad attuare i complessi protocolli sanitari per la prevenzione del contagio, alla luce delle recenti indicazioni dell’Inail, alla cui violazione sono da ricondursi responsabilità penali in caso di malattia.
Infine, per i funzionari della pubblica amministrazione, a cui si richiede di sburocratizzarsi per favorire la ripartenza economica, invocando il modello che ha portato alla ricostruzione del Ponte di Genova, ma che sono stretti nella morsa a tenaglia della responsabilità amministrativa per colpa grave, senza certezze, da definire caso per caso, e della responsabilità penale dell’abuso di ufficio, reato dai contorni poco marcati che consente al giudice di valutare se sussiste o meno la violazione del principio di buona amministrazione.
Così tra “rinvii”, “incertezze sulla sicurezza dei dati delle piattaforme informatiche” e “invocati scudi sulla responsabilità” si tenta di riaprire la stagione della giustizia. Sarà necessario considerarla questa volta come un’attività essenziale dello Stato, diversamente da quanto è avvenuto nella recente stagione dell’emergenza sanitaria, destinandovi tutte le risorse e le competenze necessarie, perché soltanto la consapevolezza della sua importanza fondamentale servirà a capire, parafrasando il titolo del recente libro di Vincenzo Roppo, che il diritto (e i suoi rovesci) è una storia che riguarda proprio tutti.