Caro direttore,
è la teoria dei giochi applicata al governo italiano. Si potrebbe rappresentare così il superbo azzardo del ministro Bonafede, il quale in questi giorni va ripetendo che
un voto contrario alla sua relazione sullo stato della Giustizia in Italia corrisponderebbe a dire no al Recovery Plan dell’Europa. Perché?



Perché, spiegano i suoi amici, dentro il severo giudizio dell’Unione Europea sul programma di spesa italiano di queste risorse (ben più severo delle parole spese da Renzi) vi è anche la raccomandazione a procedere con le riforme del processo civile e penale e del Consiglio superiore della magistratura, riforme che a detta di Bonafede, sarebbero già depositate in Parlamento o starebbero per esserlo. Di conseguenza, chi votasse contro Bonafede bloccherebbe la riforma della giustizia e quindi voterebbe contro i soldi dell’Europa. Bonafede invita il Parlamento al gioco della torre e sembra dire: “Se butti giù me, vieni giù anche tu. Che fai?”. Conte, tra vedere e non vedere, onde evitare di sperimentare il volo dalla torre ha preferito le scale ed è andato a dimettersi. Ma sul merito della giustizia sta comunque con Bonafede e c’è da scommettere che Bonafede sarà uno dei temi non negoziabili per la partecipazione dei Cinquestelle al Governo.



Non serve esplicitare quanto di ignobile vi sia in questo argomentare vagamente ricattatorio. Forse è più utile mostrare quanto vi sia di illogico e pericoloso.

È forse logico che la riforma della giustizia sia possibile solo ed esclusivamente se a farla è Bonafede? No che non è logico.

Viceversa è pericolosissimo che a guidare la riforma della giustizia sia il ministro della Giustizia che ha rafforzato e non corretto gli istituti che rendono il processo una terribile arma contro le libertà della persona piuttosto che il luogo dove la persona trova conforto nella giustizia per l’esercizio dei suoi diritti e dei suoi doveri.



Qualche domanda e qualche considerazione.

Sotto la gestione Bonafede (non voglio ricordare la pessima gestione Orlando per ragioni di spazio) è stato forse meglio regolato il potere della Polizia giudiziaria, responsabile della gran parte degli errori di giustizia di questo sventurato Paese? No, anzi, è stato rafforzato.

Sotto la gestione Bonafede si è fatta chiarezza su quell’intrico che fu e che è il rapporto tra apparati dello Stato e malavita organizzata? No, anzi, c’è stata la scelta di tenere lontano dalla direzione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria un magistrato come Di Matteo, senza mai fornire una plausibile spiegazione politica e parlamentare dell’offerta prima fatta e poi revocata.

Sotto la gestione Bonafede ci sono state due inchieste giornalistiche, una de La7 e l’altra di Report, che hanno detto con chiarezza che la trattativa Stato-mafia ci fu (anche se non fu quella che è costata un incubo a Calogero Mannino e a altri), che ebbe come epicentro più probabile la Presidenza della Repubblica di Scalfaro e che attualmente la latitanza di Matteo Messina Denaro sarebbe protetta dai segreti legati all’omicidio Borsellino, ucciso in tutta fretta, disse Riina, perché si stava avvicinando troppo a capire cose che non doveva capire. Nessuno ha battuto ciglio. Silenzio agghiacciante.

Sotto la gestione Bonafede c’è stato l’insabbiamento parlamentare dell’affaire Palamara, la vicenda più importante del dopoguerra sulla condizione della magistratura in Italia, rispetto alla quale il ministro in carica si è guardato bene dal sollecitare il Parlamento a istituire una commissione d’inchiesta, ad acquisire tutti gli atti in possesso della Procura di Perugia e a liberare così il cielo dalla cortina fumogena che da subito è stata liberata verso gli occhi dei cittadini in attesa di trasparenza e legalità vera.

Sotto la gestione Bonafede è aumentato o diminuito il potere spionistico delle Procure attraverso le intercettazioni? È aumentato in modo vertiginoso, con la degradazione dell’avviso di garanzia ad atto di accompagnamento della comunicazione del fine indagini o degli arresti e funzionale alle perquisizioni. Altro che strumento di garanzia! Le procure d’Italia non avvertono più nessuno di un’indagine in corso. Prima aprono fascicoli contro ignoti per poter indagare a piacere, poi ipotizzano l’associazione a delinquere per poter intercettare senza comunicazione di garanzia; poi rinnovano le intercettazioni e non mandano l’avviso di garanzia perché questa violazione è punita solo in via disciplinare.

Ovviamente, se a un cittadino qualunque, compreso chi scrive, si chiedesse se è d’accordo a usare questi metodi pur di catturare Matteo Messina Denaro, risponderebbe di sì. Ma se poi si accorgesse che gli stessi metodi concessi per la cattura di un pericoloso boss mafioso vengono applicati per spiare e possibilmente incarcerare un intero Paese, allora l’assenso verrebbe meno. E il problema è che lo spionaggio di un Paese intero non è un esempio astratto, ma un episodio già accaduto che ha fatto cadere un Governo ma che non ha portato ad alcuna modifica, da parte di Bonafede e dei suoi predecessori, degli istituti giuridici mostruosi che lo hanno consentito.

Correva l’anno 2015 e di fronte al tribunale di Salerno si celebrava il celebre processo sull’indagine “Why not”, quella che aveva determinato la caduta del governo Prodi.

Sul banco dei testimoni sedeva il procuratore Alfredo Garbati, all’epoca dei fatti assegnato alla Procura generale di Catanzaro ed entrato in contatto con l’inchiesta quando la Procura generale avocò a sé l’indagine. Nell’udienza del 12 febbraio, uno degli avvocati della difesa pose a Garbati domande sull’archivio delle intercettazioni dell’inchiesta governata dall’allora pm de Magistris, oggi sindaco di Napoli. Ne venne fuori che era stato intercettato il Papa, le suore del Papa, il presidente del Consiglio, il capo dei servizi segreti, l’ambasciata americana, il capo della Dia e diversi membri del Csm. Questa è la sequenza delle domande e delle risposte, da mandare a memoria per capire come bisognerebbe votare sulla relazione del ministro Bonafede, perché niente è cambiato da allora e anzi molti poteri sono aumentati piuttosto che diminuiti:

Domanda: Tra questi tabulati, per quanto rammenta, visto che ha rammentato la relazione del Copasir, vi erano i tabulati, se ricorda, dei direttori dei servizi militari?
Risposta: Sì, non che io l’abbia io letti, si diceva che c’era questo.
D: Rammenta che veniva detto anche che vi erano 52 utenze telefoniche riconducibili al Consiglio superiore della magistratura?
R: Sì, come no!
D: 14 utenze che facevano riferimento alla Segreteria generale della Presidenza della Repubblica?
R: Come no!
D: Che vi era quella del Procuratore nazionale Antimafia?
R: Sì anche qualche Sostituto Antimafia, se non un Aggiunto Antimafia.
D: Che vi erano tra questi 13 parlamentari tra cui il presidente del Consiglio, il ministro degli Interno?
R: Sì, sì, sì.
D: Il viceministro degli Interni con delega ai servizi segreti?
R: Sicuramente.
D: Che ci era anche il responsabile dell’Antiterrorismo?
R: Sì.
D: Ricorda il particolare che vi erano i funzionari dell’ambasciata americana?
R: Sì.
D: Che poi vi erano quelle direttamente dei componenti del Consiglio superiore della magistratura?
R: sì, sì.
D: Rammenta anche il particolare che vi erano una serie di utenze riconducibili alla Santa Sede, al Vaticano?
R: Sì. Ma l’accenno al Vaticano l’ho fatto anche ieri quando ho detto che nei sospetti… così, è scritto in maniera un po’ negativa negli atti, c’era anche il Papa precedente, Papa Ratzinger, in quanto le sue segretarie, le ancelle, erano vicine a Comunione e liberazione la quale a sua volta è coincidente alquanto con Compagnia delle opere…
D: E quindi erano state acquisite anche quelle delle ancelle e del Papa.
R: No, delle ancelle non lo ricordo se c’erano, ma niente di più facile, c’era di tutto.

Ecco, di tutti coloro che hanno spiato il Paese nessuno ha mai conosciuto un solo giorno di arresto. Viceversa, molti cittadini hanno fatto mesi di galera o di domiciliari sul nulla. Ma Bonafede la mette sul commercio: o la sua salvezza o la rovina dell’Italia senza Recovery Plan. Che pena!