Due crisi che si sommano, con effetto dirompente. Una maggioranza in decomposizione, un governo in affanno nel gestire la pandemia nella fase successiva alla festività. Riapertura delle scuole in forse, campagna vaccinale al palo, piano sul Recovery che latita. Giuseppe Conte è seduto su una polveriera che potrebbe esplodere da un momento all’altro.



Ma andiamo con ordine. Nelle ultime ore la difficoltà di dare nuove regole al paese a partire dal 7 gennaio ha sopravanzato per urgenza la verifica nella maggioranza. Il copione è sempre lo stesso: una sarabanda di vertici, con i capi delegazione, con il comitato tecnico-scientifico, con i governatori, mentre le anticipazioni cominciano a circolare, alimentando un forte senso di spaesamento. Che la guardia debba rimanere alta è chiaro a tutti, ma le direttive sul comportamento si rischia di scoprirle solo all’ultimo minuto. Un modus operandi che crea sempre più insoddisfazione. E che si intreccia con la partenza a rilento della campagna vaccinale e con l’incertezza sul ritorno degli studenti delle superiori sui banchi.

Un governo indeciso a tutto è, intrinsecamente, un governo debole. A meno che, cattivo pensiero, non faccia dell’emergenza lo scudo alla propria ragione di esistere. Perché intorno a Palazzo Chigi le onde sono di burrasca anche oltre l’emergenza Covid, e il momento della verità del confronto-scontro fra Conte e Renzi non è più rinviabile.

La frattura fra il senatore di Rignano e il suo successore sembra insanabile, anche se i pontieri (Franceschini e Patuanelli in primis) non si arrendono. Nel fine settimana sembra essere tramontata la campagna acquisti per sostituire i parlamentari di Italia viva con una pattuglia di “nuovi responsabili”. Pare che dagli abboccamenti fra Goffredo Bettini e Gianni Letta non sia uscito nulla. I responsabili non si trovano, tranne Sandra Lonardo in Mastella, uscita a luglio scorso da Forza Italia. Nessuno se la sente di soccorrere gratis un governo moribondo. Pesano in questo anche le perplessità del Quirinale su un’operazione puramente di potere.

Quella della conta in Parlamento minacciata da Conte nella conferenza stampa di fine anno si è rivelata, quindi, un’arma spuntata. Gli scenari possibili sono a questo punto tre: rimpasto, Conte ter, o governo di unità nazionale. Renzi tiene sul tavolo ben carica l’arma delle dimissioni delle sue due ministre, Bellanova e Bonetti, e rimanda la palla a Conte: tocca a lui dare risposta ai problemi sollevati da Italia viva.

Si tratta ancora, quindi. Cruciale sarà la riscrittura del Recovery Plan nazionale che oggi Gualtieri dovrebbe spedire ai partiti della coalizione, ma potrebbe non bastare. Servirebbe anche la rinuncia da parte di Conte alla delega sui servizi segreti, su cui sin qui è stato irremovibile. La vittoria di Italia viva dovrebbe essere molto visibile.

Molto dipenderà dalle carte in mano a Renzi. Se, cioè, in base alle sue interlocuzioni col Pd si accontenterà di un rimpasto, o di un Conte ter a maggioranza invariata. Il problema sarebbe il passaggio scivoloso dell’apertura di una crisi formale, ma nulla è impossibile, se dovesse spuntare un accordo. Più lacerante pensare a un nuovo premier sostenuto dalla medesima coalizione: metterebbe in difficoltà soprattutto i 5 Stelle, anche se il nome che è circolato, Franceschini, non è fra quelli sgraditi ai grillini.

Se la trattativa dovesse fallire, Renzi si tiene pronto a calare la carta del governo di unità nazionale. Il nome cui nessuno può dire di no rimane quello di Mario Draghi, ma potrebbe essere il diretto interessato a sottrarsi. Ecco perché nelle ultime ore ha preso a circolare quello dell’ex presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, apprezzata da Mattarella quasi quanto l’ex presidente della Bce. Potrebbe essere uno scenario gradito a Salvini, che ci guadagnerebbe un recupero d’immagine sul piano internazionale, oltre che a Berlusconi e Renzi e a un pezzo dei 5 Stelle, quelli vicini a Di Maio. Il Pd non potrebbe non essere della partita, la Meloni sarebbe a quel punto ininfluente.

Le ore decisive vanno da qui alla Befana. Il 7 gennaio dovrebbe svolgersi il Consiglio dei ministri decisivo sul Recovery Plan. Per allora il dado sarà tratto.