Mentre quasi tutti gli altri Stati dell’Unione europea hanno già approntato i programmi di investimento e di riforma da finanziare con gli aiuti del Recovery and Resilience Fund che verranno messi a disposizione nel quadro nel Next Generation UE, in Italia non solo i programmi non sono stati ancora delineati, ma è in corso una lite furibonda su chi “governerà” la preparazione e l’attuazione del programma. In breve, su chi gestirà i futuri aiuti e potrà fregiarsene di fronte agli elettori.
Un proposta intelligente è stata formulata la settimana scorsa dalla Fondazione Ugo La Malfa e dall’Associazione Guido Carli: affidare il compito a un Alto Commissario che con una piccola struttura temporanea (e l’apporto della Pubblica amministrazione) avrebbe il compito di predisporre il programma e selezionare i progetti con criteri di standard internazionali e trasparenti e di riferire al consiglio dei Ministri. L’Alto Commissario verrebbe coadiuvato, e controllato, da una commissione di nove membri, di cui otto scelti dal Parlamento (quattro della maggioranza e quattro dell’opposizione) e uno dal capo dello Stato. La proposta, molto simile a quella della Tennessee Valley Authority guidata da David E. Lilienthal negli Stati Uniti della Grande Depressione e del New Deal, è senza dubbio intelligente e visionaria, ma, nonostante si riferisca a un’esperienza di novant’anni fa, può sembrare troppo “avveniristica” al nostro Governo. Infatti, non sembra che la stia prendendo in considerazione.
Le idee sul tappeto, infatti, mostrano chiaramente che i partiti e i movimenti vogliono avere un ruolo chiave e una visibilità forte nel “gestire” i fondi, se e quando arriveranno. A un certo momento, il titolare del ministero degli Affari esteri ha suggerito che la Farnesina faccia da “cabina di regia” dato che si tratta, in qualche modo, di relazioni internazionali. L’idea è subito rientrata, dopo che si è levato un vero coro contro quelle che sono sembrate “mire imperialistiche” del Ministro in carica.
Ha avuto una durata più lunga la proposta di centralizzare alla presidenza del Consiglio la governance di finanziamenti europei che – è stato precisato dalla stesso Commissario Paolo Gentiloni – arriveranno nella seconda metà del 2021. Non solo la coalizione di Governo teme che “l’Avvocato del Popolo” si stia “allargando troppo”, ma le strutture della presidenza del Consiglio sono aumentate in dimensioni, ma non in efficienza ed efficacia. Ad esempio, arriva qualche spiffero dalla “struttura di missione” Investitalia creata circa otto mesi che starebbe approntando schede su progetti d’infrastrutture per i finanziamenti europei (ma non è chiaro se questo compito venga svolto in coordinamento con il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti). Poco o nulla si sa della “struttura di missione” sull’analisi dell’impatto della regolazione, che potrebbe essere utile nell’approntare le riforme (se ne avesse le competenze tecniche): da 15 anni è composta da “consulenti storici” così riservati da non pubblicare nulla o quasi del loro lavoro.
Palazzo Chigi, però, potrebbe rivitalizzare alcuni Comitati interministeriali quali il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) o il Comitato interministeriale per gli affari europei (Ciae). Ciò assicurerebbe collegialità e responsabilizzazioni dei singoli Ministeri di spesa, nonché guida e controllo da parte del consiglio dei Ministri e, in ultima istanza, anche del Parlamento. Si tratterebbe, in breve, di creare di nuovo (e sotto nuove spoglie) quel ministero del Bilancio e della Programmazione economica che venne abolito quando Carlo Azeglio Ciampi era ministro del Tesoro. È difficile, però, che una soluzione di questo genere vada bene all’opposizione, che resterebbe quasi completamente fuori dal processo decisionale. E lo stesso Parlamento avrebbe da ridire.
Abbandonata la proposta della Fondazione Ugo La Malfa e dell’Associazione Guido Carli si entra in un territorio pieno di trappole in cui ciascuna delle parti in commedia vuole parte dell’azione. Con il rischio di una grande confusione.
Si può pensare a una governance a più livelli:
a) una commissione bicamerale (con rappresentanza dell’opposizione) per definire i grandi riparti di spesa e le principali riforme (giustizia, istruzione, transizione ambientale, stato sociale), con il supporto tecnico dei servizi della Camera e del Senato);
b) un Cipe rivitalizzato con il supporto dei veri dicasteri, ma soprattutto con l’ausilio di specialisti in analisi quantitative di standard internazionale e trasparenti da individuare, tramite interpello, nelle varie amministrazioni in cui sono sparsi. Nell’individuazione e selezione si dovrà fare ricorsi all’apporto di esperti di chiara fama quale gli Accademici dei Lincei e gli “emeriti” di Università di prestigio.
c) un potenziamento delle funzioni di analisi, valutazione e controllo delle amministrazioni che, in ultima analisi, dovranno gestire, nei prossimi anni, gli interventi.