Giovedì 23 aprile, festa di san Giorgio, il martire che sconfisse il drago. Chissà se quel giorno, quando si riunirà il Consiglio europeo, anche Giuseppe Conte riuscirà a infilzare il nemico, che non è solo il fronte dei Paesi del Nord ma soprattutto la crescente ostilità dei suoi stessi alleati di governo. È una manovra a falange nella quale il premier si è in qualche modo chiuso da solo. Al protagonismo delle dirette televisive che fanno guadagnare “like” su Facebook e consensi nei sondaggi (che però, come è noto, non significano nulla quando le elezioni non sono all’orizzonte), non sono seguite azioni efficaci. I soldi del “bazooka” non si vedono perché non ci sono. La “fase 2” è prigioniera di commissioni infarcite di burocrati incaricati di frenare ogni fuga in avanti e ogni personalità che possa fare ombra al premier. Non ci sono certezze per i lavoratori, per le aziende, per gli albergatori, per le famiglie degli studenti costretti a restare a casa a oltranza.



A ciò si aggiunge che la maggioranza ha disatteso l’invito alla concordia nazionale venuto dal Quirinale: non solo le Regioni del Nord fremono per il ritorno alla normalità, ma le fibrillazioni scuotono la stessa coalizione che regge il governo, percorsa da scontri quotidiani che nessuno si preoccupa nemmeno di nascondere. Per esempio, in ambienti del Pd si preparano emendamenti da presentare al decreto liquidità, andando contro il ministro Gualtieri. Lo stesso Zingaretti appare estenuato dall’irresolutezza dell’esecutivo, per non parlare di Renzi che è l’inventore di questa coalizione dalla quale appare sempre più lontano.



Una vecchia volpe come Pierferdinando Casini prevede una scadenza di 2 mesi al massimo per il governo. I retroscenisti raccontano di abboccamenti tra maggioranza e opposizione, con Silvio Berlusconi che mostra interesse verso un eventuale governo di larghe intese e Giancarlo Giorgetti che prende le distanze dall’oltranzismo antieuropeo di Matteo Salvini. Il nuovo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, nel discorso dopo le elezioni ha attaccato l’esecutivo su tutta la linea, dalla proliferazione degli improduttivi comitati di esperti alla scelta di fare indebitare ulteriormente le imprese in difficoltà. Mario Draghi è tornato dietro le quinte, avendo nel mirino più il Quirinale che Palazzo Chigi, mentre Vittorio Colao non ha ancora dato segni di quel cambio di passo che sembrava dovesse marcare.



Come si comporterà Conte davanti al crescente nervosismo degli alleati e all’insofferenza del Paese? Farà esattamente quello che ha fatto finora, cioè vivere alla giornata, barcamenarsi nell’emergenza badando a non avvicinarsi troppo all’orlo del burrone e, all’occasione, scaricare sull’opposizione tutte le colpe della situazione. Non ci saranno scatti di reni né colpi di genio. Un po’ perché sono estranei all’indole da mediatore del presidente del Consiglio, uno che non avrebbe sfigurato ai tempi della Democrazia cristiana quando la sopravvivenza consisteva nella capacità di galleggiamento della Balena bianca nel mare agitato delle correnti. Ma un po’ anche perché Conte sa bene che l’alternativa a lui è come quei rimedi peggiori del male. La maggioranza attorno a un governo di unità nazionale targato Colao (o Draghi) è tutta da costruire, ci vorrebbero mesi di trattative mentre il Paese annaspa nella fase 2 o 3.

Il Quirinale, ancor meno propenso a compiere salti nel buio, difenderà Conte finché possibile. E comunque l’accordo trovato nelle ultime ore tra Pd, M5s e Italia viva per le nomine alla guida delle società partecipate dallo Stato significa che il punto di rottura nella maggioranza non è ancora così vicino.

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