Caro direttore,
a che titolo il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, è corso sabato sera ad accreditare l’ipotesi di acquisto di vaccini russi Sputnik? Non si tratta di una questione tecnico-scientifica, ma politica, in ultima analisi di politica estera. Locatelli è un medico che deve fornire (al governo, non ai media, cioè agli elettori) valutazioni di stretta natura sanitaria. Nel caso specifico: il Css è in possesso di elementi tecnico-scientifici che accreditano il vaccino russo? Ha il diritto-dovere di dirlo: ma non di sua apparente iniziativa a un sito giornalistico. Dovrebbe dirlo al suo ministro Roberto Speranza e solo a lui. E solo il ministro ha la responsabilità politica costituzionale – all’interno del Consiglio dei ministri – per assumere posizioni e assumere decisioni.



Il governo italiano – di fronte alla “frenata” di Pfizer e AstraZeneca – è convinto che rifornirsi alla farmacia russa, o magari anche a quella cinese, sia un’opportunità nell’interesse di 60 milioni di italiani e di 450 milioni di europei? Lo dica, ma entro tutti gli standard di correttezza politico-istituzionale. Il premier lo dica anzitutto ai suoi colleghi capi di Stato e di governo nel Consiglio Ue. Lo dica alla Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, fra l’altro “patrona” europea del suo esecutivo. Invece non risulta che Conte ne abbia parlato nel vertice Ue tenuto appena quattro giorni fa: si è limitato ad auspicare che “le consegne di vaccini rispettino gli impegni”, eccetera. Salvo poi lasciare alla comunicazione di Palazzo Chigi di muovere tutte le sue pedine nella consueta virtualità mediatica.



Il super-commissario Domenico Arcuri ha iniziato ad agitare l’ipotesi di cause legali dell’Italia contro Pfizer: come se l’Italia non facesse parte da 63 anni della Ue; come se per “Big Pharma” l’Italia non fosse un’espressione geografica all’interno di una “market area” che magari associa il Sud Europa all’Africa. Poi è stato mandato avanti Locatelli a parlare di una “opzione russa” di cui probabilmente non sarebbe stato autorizzato a parlare neppure il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Soprattutto dopo gli inquietanti accenti da “Paese non allineato” assunti dal premier Conte nel suo discorso alla Camera di una settimana fa. Soprattutto quando il premier è in bilico: anche perché al suo mentore internazionale – l’ex presidente Usa Donald Trump – è subentrato in settimana Joe Biden. I cui punti di vista sono ora chiaramente “bibbia” anche per Pfizer & Co.



A che titolo un altro super-burocrate di Palazzo Chigi, il coordinatore del Comitato tecnico-scientifico, Agostino Miozzo, rivendica in prima persona il potere dello Stato di decidere la riapertura delle scuole? Lo ha fatto ieri in una lettera al Corriere della Sera, replicando – in modo palesemente pretestuoso – a una presa di posizione di una non meglio precisata “rivista online specializzata nella scuola”. Questa – ha scritto Miozzo – metteva in discussione una precedente affermazione del burocrate: quella in cui discuteva a sua volta l’articolo 120 della Costituzione (Titolo V) cioè “il potere di sostituzione delle autorità politiche locali qualora non siano garantiti i diritti costituzionalmente previsti”.

Può un funzionario della Protezione civile disquisire sull’applicazione della Costituzione? Chi lo autorizza ad affermare su un giornale che “le Regioni vanno in ordine sparso e senza voler essere provocatori si fa molta fatica a comprendere la ragione di questa fantastica autonomia differenziata”?

Nei giorni in cui l’ex vicepremier Matteo Salvini è stato rinviato direttamente a giudizio dalla Procura di Milano per vilipendio alla “capitana” Carola Rackete, è inevitabile chiedersi se anche il burocrate Miozzo non sia incorso in qualche forma di “abuso” e di “vilipendio”, esprimendosi con toni sarcastici verso le Regioni: istituzioni della democrazia elettiva previste dalla Costituzione.

E per l’ennesima volta piacerebbe conoscere il punto di vista del presidente della Corte costituzionale in carica Giancarlo Coraggio. Che da quando è stato eletto – sei settimane fa – ha già rilasciato due interviste. Che il governo del Paese stia diventando un pericoloso gioco virtuale è ormai più che un sospetto. La speranza – forse l’ultima – è che non vi si adeguino anche i garanti costituzionali dello Stato di diritto democratico.