Incoraggiare nella fede il “piccolo gregge” dei cattolici, favorire il dialogo con le altre religioni maggioritarie, promuovere la pace e la difesa della vita. Sono le tre ragioni che hanno spinto il Santo Padre ad affrontare il suo 32° viaggio apostolico, da oggi al prossimo 26 novembre, in Thailandia e Giappone, due paesi già visitati (rispettivamente nel 1984 e nel 1981) da san Giovanni Paolo II, in un contesto però che oggi si presenta ben diverso rispetto ad allora, soprattutto alla luce dell’accordo sulla nomina dei vescovi tra Santa Sede e Pechino. “La Cina – osserva infatti Francesco Sisci, profondo conoscitore della realtà dell’Estremo Oriente – è il convitato di pietra, o di Pietro in questo caso, del viaggio del Papa, che, visitando prima la Thailandia e poi il Giappone, volerà molto probabilmente, sia all’andata che al ritorno, sopra la Cina. E qui forse potrebbero essere inevitabili una o più domande sulla situazione di Hong Kong, dove la tensione sta crescendo pericolosamente”.
La prima tappa è in Thailandia, che sarà in realtà il punto di contatto più vicino del Papa con la Cina.
Infatti la comunità cattolica locale è composta in pratica solo da cinesi emigrati. Sono arrivati dalla Cina direttamente prima della presa del potere dei comunisti nel 1949 oppure sono cinesi scappati dal Vietnam dopo la guerra di confine del 1979. Molti parlano e scrivono cinese e sono in stretto contatto con Pechino.
Che realtà incontrerà il Papa in Thailandia?
La Thailandia è un paese non facile al momento. In sostanza, persiste una spaccatura profonda tra chi ha sostenuto il golpe contro il governo del tycoon Thaksin Shinawatra e chi rimane un sostenitore di Thaksin. Si tratta di questioni estremamente delicate e scivolose, ma forse il Papa potrebbe pronunciare parole che possono favorire una riconciliazione nazionale. Inoltre si tratta di aiutare la comunità cattolica locale a uscire dai confini etnici in cui è confinata e forse a migliorare le condizioni che impediscono a un thai di lasciare la religione buddista di Stato e convertirsi al cristianesimo.
La seconda tappa del viaggio porterà il Santo Padre in Giappone. Come sarà accolto?
Qui i cattolici sono una presenza numerica esigua, ma rappresentano una superpotenza a livello culturale. Università, scuole, ospedali aiutano da molti anni la società giapponese, i cattolici si sono perfettamente integrati senza però avere atteggiamenti invasivi. Qui forse c’è anche una lezione per la Cina: la presenza cattolica non destabilizza la società in cui opera, Pechino non ha ragione di spaventarsi. Infine, per i giapponesi si tratta di un enorme successo politico: il Papa visita il loro paese prima di andare in Cina.
A proposito di Cina, Francesco ha manifestato più volte la sua intenzione di volersi recare a Pechino. Ma oggi resta da affrontare il nodo di Hong Kong, non crede?
Il Papa non ha mai fatto mistero di voler visitare il paese e ci sono stati dei grandi passi avanti, ma certo minori di quanto alcuni si attendevano. La Cina oggi si sente sotto assedio, stretta in una morsa tra la guerra commerciale con l’America e le proteste sempre più violente a Hong Kong. E tra guerra commerciale e proteste a Hong Kong questo cortocircuito è molto pericoloso, perché potrebbe far precipitare tutto.
In che senso?
Pechino teme che la Chiesa possa “avvelenare” ulteriormente la situazione. Il cardinale di Hong Kong, Tang, finora si è mantenuto su una posizione di grande equilibrio, anche perché molti cattolici sono attivi nella protesta, ma non bisogna dimenticare che il governatore Carrie Lam è cattolica. In questo senso la Chiesa a Hong Kong potrebbe essere in una posizione speciale per cercare una mediazione tra dimostranti e governo prima che la situazione degeneri del tutto. In questi giorni la violenza è aumentata in misura esponenziale, i dimostranti hanno usato bombe molotov, hanno colpito poliziotti con archi e frecce. La polizia, dal canto suo, ha usato lacrimogeni, ha sparato e soprattutto ha accresciuto il numero degli arresti. La situazione è esplosiva e, se sfuggisse ancor più di mano, potrebbe davvero accendere la miccia di una terza guerra mondiale. Può la Chiesa fare qualcosa? Questa è la domanda che forse mi sentirei di rivolgere al Santo Padre.
(Marco Tedesco)