Per capire l’importanza delle attuali rivolte che si stanno verificando a Hong Kong è necessario comprendere l’importanza politica e insieme economica che questa città ha per Pechino. Nel 1997 l’ex colonia britannica fu restituita alla Repubblica popolare cinese. A partire da quella data il rapporto tra Pechino e Hong Kong si è costruito sulla base del principio “un Paese, due sistemi” che fu progettato da Deng Xiaoping, che garantisce a Hong Kong un’elevata autonomia rispetto a Pechino e soprattutto permette che il suo sistema politico ed economico sia costruito sulla falsariga di quello occidentale.



Ebbene non c’è dubbio che questo sistema abbia permesso alla Cina di salvaguardare i suoi innumerevoli interessi presso le oligarchie finanziarie e imprenditoriali di Hong Kong.
Più nello specifico Hong Kong riveste una duplice importanza per Pechino e cioè un’importanza geopolitica e geoeconomica. Incominciamo a illustrare l’importanza geopolitica.



Dal punto di vista geopolitico non c’è dubbio che Hong Kong, in quanto zona di frontiera e soprattutto in quanto ex colonia britannica, sia sottoposta a una doppia influenza e cioè quella cinese da un lato e quella regolata dal sistema legislativo noto come common law dall’altro. Per l’attuale leader cinese questo sistema ha dimostrato di essere efficiente soprattutto perché garantisce una buona organizzazione giuridica e politica e contribuisce a dare a Hong Kong una grande rilevanza a livello economico.

Proprio per questo l’attuale leader cinese non ha da un lato alcuna intenzione di attuare modifiche sostanziali al sistema legislativo ed economico di Hong Kong, perché ciò minerebbe la sovranità nazionale, e dall’altro lato non ha alcun intenzione di consentire che Hong Kong possa diventare uno strumento per minacciare la sua integrità nazionale e per ostacolare la sua proiezione di potenza a livello globale.



Dal punto di vista geoeconomico Hong Kong è certamente è il più importante snodo cinese a livello globale sul piano economico e soprattutto finanziario anche grazie al fatto di essere il quinto porto più importante a livello mondiale. Inoltre, è necessario tenere presente che Hong Kong dipende pressoché interamente da Pechino sia per quanto riguarda la fornitura di acqua potabile che per il settore agroalimentare. Ebbene, l’importanza di Hong Kong a livello geoeconomico la si può agevolmente desumere dal fatto che questa città rientra in un preciso progetto cinese chiamato Area della Grande Baia, finalizzato a integrare la città di Hong Kong all’interno della Cina allo scopo di accelerare il processo di integrazione sia politico che economico.

Ad esempio, la costruzione dell’infrastruttura che permette di collegare Hong Kong, Zhihai e Macao rientra proprio in questo obiettivo. Allo stesso modo il fatto che Hong Kong sia divenuto membro dell’Asian Infrastructure Investment Bank dimostra la ferma volontà da parte di Pechino di proseguire nel suo progetto di integrazione anche in relazione alla realizzazione della Nuova Via della seta.

Ebbene le diverse proteste rivolte che si sono svolte a Pechino – a cominciare da quelle del luglio del 2003, oppure quelle del 2012, del 2013/2014 o alle manifestazioni del 2014 contro la riforma elettorale promosse da Occupy Central, movimento fallito sia a causa della repressione cinese che dei numerosi contrasti politici al suo interno – non possono non destare presso il Governo centrale di Pechino viva preoccupazione. D’altra parte la presenza delle forze armate cinesi, equipaggiate anche con cacciatorpediniere e navi da guerra, dovrebbe servire sia come deterrenza, sia a gestire in modo rapido ed efficiente situazioni di questa natura.

Alla luce di quanto detto quali possono essere gli scenari possibili? In primo luogo, riuscire a controllare l’attuale rivolta, alla luce di quanto poc’anzi affermato, diventa decisivo per Pechino. Il suo eventuale fallimento contribuirebbe a ritardare, se non addirittura a impedire, il conseguimento degli obiettivi di integrazione di cui abbiamo fatto cenno in precedenza. In secondo luogo, un eventuale fallimento da parte di Pechino nei confronti dell’attuale rivolta costituirebbe un successo indiretto e insperato di natura politica sia per gli Stati Uniti che per Taiwan, che ha sempre rivendicato la sua autonomia e la sua indipendenza da Pechino. Infatti, è interesse degli Stati Uniti che la Cina non riesca a conseguire l’obiettivo di integrazione, ma che rimanga al suo interno frammentata. In terzo luogo, la democratizzazione auspicata dagli attuali movimenti di rivolta difficilmente potrebbe essere accettata da Pechino perché minerebbe o farebbe venire meno il progetto di integrazione cinese.