L’Istat ha rivisto al ribasso (dal +6,2% al +6,0%) la stima iniziale sull’inflazione tendenziale di aprile, ma secondo l’Ufficio Studi di Confcommercio a maggio l’indice dei prezzi (che in Gran Bretagna il mese scorso ha raggiunto il 9%, ai massimi da 40 anni) salirà su base annua del 6,6%. Secondo l’organismo di rappresentanza delle imprese operanti nel commercio, nel turismo e nei servizi, ad aprile i consumi hanno fatto registrare una crescita tendenziale del 13,1%, ma restano ancora sotto i livelli pre-Covid del 10,4%.



E proprio l’inflazione, come ci dice Augusto Patrignani, Presidente della Confcommercio della provincia di Forlì-Cesena, potrebbe frenarne la ripresa nei prossimi mesi, mettendo in difficoltà tante imprese e rallentando il Pil: «L’inflazione non fa altro che diminuire il potere d’acquisto degli italiani e si ripercuote quindi sui consumi, che rappresentano una quota importantissima del Prodotto interno lordo».



L’inflazione è il fattore che bisogna temere di più?

È chiaro che ci sono altre problematiche sul tavolo, soprattutto in un momento in cui si sta combattendo una guerra alle frontiere con l’Europa e non è chiaro quanto durerà e se si allargherà. Questo già comporta una certa prudenza negli investimenti e di certo l’inflazione non aiuta le imprese a lasciarsi le preoccupazioni alle spalle e a guardare con ottimismo e fiducia al futuro.

Forse in effetti si dimentica che l’inflazione non incide solamente sul potere d’acquisto dei consumatori, ma anche sui costi delle imprese…



Esatto, è da mesi che ci sono rincari energetici importanti che hanno portato a un aumento esponenziale dei costi e a un conseguente calo della marginalità, anche perché non si può pensare di incrementare della stessa percentuale i prezzi di vendita. 

Oltre che nelle bollette, le vostre imprese stanno vedendo anche degli aumenti nei listini dei fornitori?

Sì e in alcuni casi ci può essere qualcuno che sta anche approfittando del fatto che oggi sentirsi dire che c’è un aumento è quasi fisiologico per avanzare richieste sproporzionate. Arrivano ritocchi all’insù anche del 15%, motivati dal caro energia o dalla difficoltà di reperire materie prime. Ed è ovvio che questi aumenti incidono pesantemente sulla marginalità delle aziende.

Anche perché non possono essere scaricati tali e quali sul prezzo di vendita…

Esatto. È davvero difficile pensare di aumentare del 15% i prezzi di vendita. 

Il Governo, con il Dl aiuti, ha varato un bonus una tantum da 200 euro, che andrà a circa 31,5 milioni di italiani. Questa misura potrà aiutare a evitare una contrazione dei consumi?

Per quanto apprezzabile nell’intento, non credo che sia un’iniziativa che possa portare un grande beneficio e, soprattutto, risolvere i problemi correlati all’aumento dell’inflazione.

Cosa bisognerebbe fare allora?

Credo che l’intervento principale da adottare sia una riduzione del cuneo fiscale e contributivo, in modo da dare più respiro alle imprese e mettere più soldi in tasca ai cittadini. Questa sarebbe una misura che potrebbe portare veramente a un risultato non solo temporaneo, ma strutturale.

Avrebbe però un costo importante difficilmente sopportabile per le casse pubbliche senza un nuovo scostamento di bilancio.

Credo che si possa intervenire sia nell’efficientare i costi della macchina pubblica che nel razionalizzare la spesa tagliando voci inutili, così da mettere risorse al servizio del lavoro. Occorrerebbe ricordarsi che perché ci sia lavoro bisogna anche fare in modo che le imprese possano rimanere sul mercato.

A proposito di lavoro, c’è difficoltà a coprire certe posizioni nelle vostre aziende?

Il problema c’è ed è particolarmente avvertito, in Romagna, per quanto riguarda i balneari. Non si trovano persone disposte a lavorare 3-4 mesi e ci sono addirittura delle attività che prevedono difficoltà a restare aperte nei normali orari. 

Questo problema è causato dal Reddito di cittadinanza?

È un problema che dipende da una serie di fattori. Certo, il Reddito di cittadinanza non aiuta, visto che non manca chi si presenta chiedendo di poter lavorare in nero per non perderlo. Ma c’è anche un’altra criticità legata al fatto che quando le persone trovano opportunità occupazionali che gli garantiscono una certa continuità, magari per buona parte dell’anno, preferiscono non lasciarle di fronte alla possibilità di lavorare solo 3-4 mesi durante l’estate. 

Come si potrebbe risolvere questa criticità?

Dal mio punto di vista, restando al caso del turismo balneare, bisognerebbe trovare una formula contrattuale ad hoc per far sì che i lavoratori e le imprese di questo settore possano pagare meno tasse, in modo da poter garantire stipendi più alti e attirare di nuovo le maestranze che vogliono impiegarsi in questo settore.

Restando in tema di estate, come pensate che andrà, tenendo anche conto che mancheranno i flussi turistici dalla Russia?

Le previsioni sono molto buone, anche perché molti italiani trascorreranno le vacanze nei confini nazionali e ci sarà un ritorno di tanti stranieri dopo un periodo in cui gli spostamenti, causa Covid, erano più problematici. C’è molto ottimismo sul turismo.

I problemi riguardano semmai il resto dell’anno e gli altri comparti…

Sì, per via delle criticità di cui abbiamo parlato prima.

Resta dunque importante la richiesta al Governo relativa a un intervento sul cuneo fiscale.

Sì, continuiamo a tenere aperto il canale di dialogo con il Governo centrale su questo tema, perché secondo noi è solo così che si può raggiungere un risultato positivo.

(Lorenzo Torrisi)

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