Era il febbraio 2012 quando la Guida Suprema dell’Iran, già presidente della Repubblica dal 1981 al 1989 e massimo esponente del clero sciita, l’ayatollah Ali Khamenei era apparsa in pubblico per l’ultima volta durante la preghiera del venerdì, in occasione di manifestazioni di protesta che interessavano tutto il Medio Oriente. L’ayatollah è sempre apparso in pubblico solo in occasione di gravi crisi interne o internazionali: nel 2009, in concomitanza con le proteste contro la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad alla guida del Paese; nel 2011 durante la “primavera araba”. E adesso, in un momento di tensione e crisi gravissima che interessano l’Iran sia sul fronte internazionale che su quello interno. L’America ha eliminato il numero due del regime, il generale Qassem Soleimani, mentre da mesi la popolazione protesta contro la crisi economica che impoverisce il paese e adesso anche contro il regime degli Ayatollah. Abbiamo chiesto a Rony Hamaui, docente dell’Università Cattolica di Milano, esperto di geopolitica e di finanza islamica, di spiegarci cosa succede in Iran.



Erano sette anni che la massima autorità sciita non appariva in pubblico. Lo ha fatto attaccando l’America e chi manifesta contro il regime. Cosa significa questa apparizione?

Certamente è un segnale molto forte che non si può non interpretare come un momento particolarmente complesso della vita dell’Iran. Un regime durato molto a lungo, 40 anni, molto di più di quanto qualunque osservatore avrebbe pensato.



Adesso però, anche se non è la prima volta, ci sono segnali di una possibile disgregazione: la gente è arrabbiata per la crisi economica e l’America ha colpito al cuore il regime. Siamo in procinto di un cambiamento?

Sicuramente le sanzioni americane hanno colpito fortemente l’economia iraniana, la crescita economica sta subendo un duro colpo e il regime comincia a trovare una opposizione piuttosto forte al suo interno. Va detta un’altra cosa.

Quale?

L’Iran si è è molto rafforzato dal punto di vista militare, in un modo che ben pochi avevano capito. Prendiamo la risposta missilistica dopo l’uccisione di Soleimani: sono stati feriti, contrariamente a quello che Trump aveva detto, ben undici soldati americani alcuni dei quali in modo grave. Questo è indice della capacità e della forza militare iraniana.



Gli americani secondo lei non si aspettavano una risposta di questo tipo?

Non si aspettavano una tale precisione su obiettivi piuttosto lontani ed è significativo che la difesa americana non sia stata in grado di intercettare i missili. Questo episodio si aggiunge al drone americano abbattuto dall’Iran e ai giacimenti petroliferi sauditi distrutti in precedenza.

Però l’esercito iraniano ha commesso un errore clamoroso abbattendo l’aereo civile ucraino.

Questo ci dice di reparti molto esperti dotati di armi sofisticate e di un esercito in stato confusionale. Una situazione interna molto confusa, evidentemente.

Quindi da una parte il regime appare molto forte, ma dall’altra? La popolazione iraniana ha iniziato a protestare proprio per le spese militari e le poche spese civili e economiche. C’è una opposizione politica oggi in Iran?

Sì, assolutamente. La società iraniana è molto diversa da quanto pensiamo qui in occidente. Non è come l’Arabia Saudita, dove un pugno di beduini si è ritrovato straricco senza fare niente grazie al petrolio. Quella iraniana è una società con forze sociali importanti, la gente è molto istruita, molti vanno a lavorare all’estero, è una società più ricca e articolata di quanto pensiamo.

Il regime non si fa scrupoli di sparare sui manifestanti. Si sente di fare una previsione?

Se dovessi farlo basandomi su questi 40 anni, direi che il regime riuscirà a gestire anche questa crisi, non siamo alla vigilia di un cambio di potere. Però la situazione potrebbe degenerare e questo spiega perché Khamenei è intervenuto pubblicamente. Purtroppo è difficile in qualsiasi rivoluzione poter dire quando scatterà, figuriamoci in un paese come l’Iran. A volte però interi sistemi cascano su bucce di banana e quello iraniano potrebbe essere un caso del genere.

(Paolo Vites)