La notizia, diffusa nelle scorse ore, che il regime degli ayatollah avrebbe abolito la polizia religiosa – o morale -, la stessa che causò la morte di Mahsa Amini, dando vita alla rivolta di massa tutt’ora in corso in Iran, non trova alcuna conferma ufficiale. Anzi, le dichiarazioni governative sono sempre più dure nei confronti dei rivoltosi, arrivando a dichiarare la “tolleranza zero” e “l’impiccagione dei rivoltosi arrestati”.
“È tuttavia un segnale” ci ha detto in questa intervista Marco Lombardi, docente di sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed esperto di terrorismo “che all’interno del regime degli ayatollah qualcosa si sta muovendo, si stanno rendendo conto che qualcosa deve essere fatto prima che la situazione sfugga loro completamente di mano”. Che cosa possa essere però non si sa, mentre sono entrati in sciopero per tre giorni i negozianti che hanno abbassato in massa le saracinesche, segno di un malcontento popolare che ormai tocca tutte le classi sociali del Paese.
La notizia dell’abolizione della polizia cosiddetta morale non ha trovato conferme ufficiali. In ogni caso non sono loro a guidare la repressione contro i rivoltosi. Che significato ha quindi quell’informazione, vera o falsa che sia?
Ci sono diverse notizie che ci arrivano, che vanno dall’abolizione al fatto che si sia messo in discussione da parte delle autorità religiose il ruolo della polizia morale. Non è chiaro quello che sta accadendo in Iran. Rispetto a quanto riportato dai media sarei attendista, probabilmente noi in Occidente leggiamo in maniera troppo entusiasta le notizie, vediamo in esse quello che vorremmo e che ci aspettiamo accadesse.
Una lettura realistica, per quanto possiamo farla da qui, quale sarebbe?
Indubbiamente all’interno del regime sta accadendo qualcosa di grosso, dopo tanti morti e una guerriglia che si sta reiterando da mesi. E anche una deludente partecipazione dell’Occidente, ma comunque con una diffusione della protesta indipendentemente dall’interesse politico. Lo abbiamo visto in Qatar ai mondiali di calcio.
Intende il rifiuto dei calciatori della nazionale di cantare l’inno nazionale?
La prima volta non l’hanno cantato, poi l’hanno cantato di malavoglia perché messi sotto la minaccia di violenze nei confronti dei familiari. Abbiamo visto anche la demolizione dell’abitazione della scalatrice Elnaz Rekabi, che non aveva indossato il velo durante una gara internazionale. Benché non ci sia il sostegno dichiarato della comunità internazionale con prese di posizione politiche che prendano le distanze dal regime, c’è una comunicazione che viene dal basso che coglie tutte le occasioni per potersi manifestare. Quello che accade appunto nel mondo dello sport è significativo della presenza e dell’influenza del mondo occidentale all’interno dell’Iran.
Cosa può succedere adesso?
Il perdurare delle proteste e l’acuirsi della repressione non può non avere un esito, le cose non possono tornare come erano prima. Quanto è stato diffuso in merito alla polizia religiosa è il segno che gli ayatollah si rendono conto che dei cambiamenti devono essere fatti. Quali non sappiamo.
Da parte governativa però arrivano intimidazioni sempre più pesanti. In una dichiarazione delle Guardie della rivoluzione si legge che “la polizia e le forze di sicurezza non esiteranno a fronteggiare duramente i rivoltosi, i criminali armati e i terroristi che sono stati assoldati dai nemici”.
Il quadro è in evoluzione e si sta sempre più radicalizzando il conflitto. C’è una apertura però, anche se il messaggio è: attenzione che non tolleriamo niente. Personalmente lo leggo come un modo di salvare la faccia del regime e di salvare in extremis una situazione che si sta sempre più deteriorando.
Il potere, che è quello di uno Stato religioso, chiama a difesa “il sistema sacro della Repubblica islamica”. Questo cosa comporta?
La soluzione proprio per questo sarà comunque drammatica. O ci sarà una restaurazione del regime con una repressione sanguinaria, o una sostituzione completa degli ayatollah. In questo senso è molto grave l’assenza di qualunque Paese occidentale dallo scenario, se pensiamo che quarant’anni fa siamo andati ad allearci con i talebani per far cadere il regime sovietico in Afghanistan. Un qualunque Paese serio oggi dovrebbe allearsi con gli studenti per eliminare i “barbuti”. Ma evidentemente ci sono interessi economici e politici che non si possono bypassare.
Come reagiscono gli altri Paesi islamici? Non hanno paura che questa rivolta possa dilagare anche nei loro confini?
In realtà l’Iran dà un po’ fastidio a tutti i Paesi arabi, e probabilmente non dispiacerebbe loro che gli ayatollah venissero eliminati. Il problema è: che cosa viene dopo? Torna lo scià? Evidentemente esagero, ma comunque una cosa del genere sarebbe dirompente per i Paesi sunniti legati ai sauditi. Sarebbe qualcosa che mina le fondamenta non solo dello Stato religioso sciita, ma anche di quello sunnita.
(Paolo Vites)
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